admin | June 8th, 2012 – 2:08 pm
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Chi va a Gaza sa bene cos’è questa foto. È il tragitto che separa il terminal israeliano del valico di Erez dal container del coordinamento palestinese a Gaza. Da Israele a Gaza. 1250 metri. 1250 metri che ora si percorrono –El hamdulillah – sotto una tettoia che protegge dal sole e dalla pioggia. 1250 metri che – novità delle ultime settimane – si possono percorrere con macchinetta elettrica, tipo le golf car o quelle che coccolano i turisti a Sharm El Sheykh, donata dalla cooperazione turca. perché quei 1250 metri li percorrono malati da curare in Israele, vecchi, madri con bambini molto piccoli. I pochi che riescono per ragioni umanitarie a ottenere da Israele un agognato permesso per uscire.
1250 metri che separano un mondo dall’altro. Ho provato a convertirli in passi, come nei Cento passi, ma non ci sono riuscita. Ho scoperto, però, di non essere stata l’unica. Che molti di quelli che da Erez entrano provano a distrarsi (dal disagio, dalla noia del tragitto, dallo sguardo sui campi incolti lungo il muro di separazione, dal sottile timore che – come talvolta succede – il silenzio di quelle landa desolata sia rotto dal crepitio di un mitra israeliano) contando quei 1250 metri. Contando i passi. Mentre oltre la rete che delimita quello strano tunnel, uno dei posti più singolari e surreali del Medio Oriente, un ragazzino – avrà avuto al massimo 13 anni – raccoglieva le macerie dei bombardamenti israeliani, le caricava sul carretto tirato dall’asinello, per rivendersele come materiale da costruzione. Sotto il sole, e lo sguardo dei soldati israeliani nella garritta.
I passi li ho contati l’altro giorno a metà del tragitto. Quando ho scattato questa foto. Ne ho contati solo quattrocentocinquanta. Ma il tempo così è passato più in fretta, il tempo necessario per abituarsi a Gaza. Poi, è più semplice entrare nella follia, nel paradosso, nella povertà, nella tristezza, nella polvere, negli sguardi della gente di Gaza che prova a vivere come tutta l’altra gente, dimenticandosi di essere in una prigione. Certo, ora Rafah è più aperta: gli egiziani consentono 700 ingressi al giorno, ma d’estate ci sono almeno duemila persone che vorrebbero passare il valico che immette nel Sinai. Anche solo per trascorrere due giorni al Cairo, e poi – appunto – rientrare in quei 400 chilometri quadrati chiusi. Sotto assedio.
No, continuo a pensare che andare a Gaza non sia una passeggiata. Anche se tutto sembra normale. Anche se le lampare all’orizzonte, nella sera buia senza le luci sul lungomare a nord di Shati, sono come tutte le lampare. Ma quelle luci in fondo, più gialle delle altre, sono quelle di una nave da guerra israeliana. E dunque quelle lampare non hanno dietro di sé l’infinito, come hanno tutte le lampare in tutto il Mediterraneo. Hanno un mare finito, una sorta di recinto d’acqua che rende anche quella finestra sul mondo come una sorta di telo, sul palcoscenico. Anche il mare, che è sempre lo stesso, a Tel Aviv come in Sicilia, è un mare che non fa dimenticare. Non fa dimenticare nulla.
Mai astrarsi, a Gaza, anche quando si visita quello splendore di scuola che è la scuola di Umm al Nasser, costruita da Vento di Terra. Perfetta, accogliente, ecologica al 100 per cento, fresca, elegante. Nel mezzo del nulla. L’ultimo missile israeliano è atterrato pochi giorni fa a cento metri di distanza. Cento metri, leggeri come un soffio di vento. Mai astrarsi, anche quando pensi che quella scuola, sì, magari l’avessimo in Italia, per i nostri bambini. E invece ne fruisce la povera comunità beduina a poca distanza dal valico di Erez, e a poca distanza dall’invaso dei liquami di Bet Hanun, che ammorba l’aria di un puzzo nauseabondo e insopportabile. Puzzo che i gazani respirano, tutti i giorni, tutto il giorno.
Eppure Gaza continua a non fare notizia. Neanche quando si muore. Figuriamoci, poi, quando non ci sono i raid israeliani che percorrono e scuotono Gaza, dopo il lancio di un razzo artigianale verso il sud di Israele. Cosa interessa? Nulla. Eppure a guardarla, la vita assurda, paradossale, faticosa di Gaza, sale la rabbia, perché Gaza è uno scandalo. Gaza non può continuare a essere chiusa, anche se al potere c’è Hamas.
to be continued…
Per la playlist, cosa scegliere? C’era una leggera brezza di mare, l’altra sera a Gaza. E dunque, Nella terra del vento, Ivano Fossati.
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