Questa volta hanno arrestato me

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Questa volta hanno arrestato me
Raccolta delle olive con Hashem: ci aspettavamo qualcosa, visto il posto e la vicinanza con i coloni cattivi. Ma prima della raccolta riceviamo una chiamata: ci sono soldati e ruspe di fronte a Qiriat Arba, un po’ più in là dell’insediamento con la stazione di polizia. Corriamo là, dopo avere detto a Hashem di aspettarci per dopo. Chi a piedi, io e Wayd in taxi, ar…
riviamo sul posto: una ruspa e uno scavatore stanno finendo di demolire un serbatoio per acqua, protetti come sempre da decine di soldati. E’ la seconda volta che la demoliscono, e anche la casa vicina, quasi terminata, ha un ordine di demolizione. Eppure siamo una zona di gente attiva, non di disoccupati, ci spiegano, ma non ci lasciano fare niente, e distruggono i sacrifici di una vita. L’acqua poi a Hebron è una difficoltà, per cui farsi una cisterna di raccolta diventa spesso fondamentale. Ma non li: siamo nella zona che ancora separa le due colonie principali fuori Hebron, Qiriat Arba e Erfina. Vogliono tenere libero per i loro allargamenti e congiungimenti, ignorando e calpestando ogni diritto dei palestinesi, che ne fanno le spese. La gente ci racconta volentieri, chiede se qualche organizzazione internazionale può collaborare a ricostruire. Promettiamo di raccontare in giro, e torniamo alla nostra raccolta.
Hashem è quello che insieme a noi ha riottenuto il diritto di fare la stradella più corta, e che è riuscito a raccogliersi le sue olive l’ultima volta cinque anni fa. L’idea è di lasciare qualcuno a finire da Jawad, dall’altra parte della strada, facendo come ieri: Jawad sulla strada con il mio seghetto che taglia rami (questo albero ha un diametro di un metro e mezzo!), e i nostri nascosti dietro il capannone a sfilare le olive. Così quando passa la scatenata, io sono sulla strada (regolare, quindi) che indico a Jawad cosa tagliare, e la colona è tutta presa dalla scena che sta riprendendo, così non si accorge che sull’altro lato della strada ci sono già tre che raccolgono olive. Quando il primo albero è quasi finito, passo al seghetto a sistemare la potatura, dicendomi, purtroppo questo lavoro lo vedranno, è più rumoroso e visibile. Comunque, niente coloni in avvicinamento, polizia e soldati di passaggio non ci dicono niente, quindi, come scrivevo l’ultima volta, è proprio vero che prendono ordini dai coloni, e se non arrivano quelli, noi possiamo lavorare. Gli altri quattro alberi hanno poche olive: è divertentissimo come Hashem e i suoi appena hanno un sacchetto di olive, corrono a portarlo a casa, temendo che un assalto di coloni gliele rubi. Arrivo al quinto albero, vecchio, stranissimo, mezzo secco ma con due lati da cui è ripartita una grande vegetazione. Anche questo, come gli altri, non è mai stato potato, sono delle foreste da districare: sono a metà lavoro, quando risuona il temuto allarme: “Mustautanin”, i coloni! Ne arrivano una quindicina, anche se non tutti insieme. Chissà dov’erano prima. Reclamano che la terra è loro, che stiamo rubando la legna. Intanto è arrivato anche Jawad, ed è lui che chiama i soldati a difenderci dai coloni, dalla cui violenza non ci possiamo difendere, pena la galera. Io sono l’ultimo a lasciare la terrazza degli ulivi, tra l’altro con ancora in mano le mie “armi”, forbice e seghetto. Intanto parlo degli ulivi, della pulizia, ma non gliene frega niente. Comunque Hashem è autorizzato a raccogliere le olive, anche se la contesa sulla proprietà non è risolta. Finalmente arrivano i primi quattro soldati e si mettono in mezzo, ma più a spingere noi verso la casa di Hashem che ad allontanare i coloni invasori. I soldati aumentano e c’è un ufficialetto a nome Dima, che spesso spadroneggia e terrorizza nella zona. E’ lui ad arrabbiarsi di più, comincia ad avercela con tutti quelli che riprendono o fanno foto, e sono dappertutto. Ci sono i ragazzi di Youth Against Settlement, ci sono i nostri, c’è un fotografo che lavora per vari siti e che ho chiamato io. E Dima si arrabbia e punta una volta uno una volta un altro, ma mai i coloni! Per primo viene preso un ragazzo di YAS, che riprendeva da dietro. Poi fanno per saltare su Wayd, lo acchiappano, ma io non perdo l’occasione di mettermi in mezzo, attaccandomi ad un palo, e impedendo così a Dima a procedere all’arresto. Incazzatissimo, si rifà con me, ma non riesce a staccarmi dal palo, si incazza di più perchè devono aiutarlo ad acchiapparmi. Ed eccomi buttato a terra e preso per il collo con un ginocchio nella schiena, mentre mi legano i polsi. Ma non gli basta, prendono anche Jawad, che li aveva chiamati, e che non filmava né altro. Hanno preparato il contentino per i loro amici coloni, che ridono felici mentre ci portano alle jeep. Un po’ di tempo in attesa, mentre si raduna una folla ad una certa distanza, è pieno anche di ragazze sui tetti che seguono e riprendono le scene. Quando ci portano via, abbiamo abbassato i finestrini della jeep, abbiamo sporto le mani con il segno di vittoria e gridiamo “libertà per la Palestina”.
Poi ho man mano scoperto la tenacia di questi palestinesi arrestati con me: non hanno smesso un attimo di provocare i soldati, e io mi sono dovuto adeguare. La prima è: “Che bello, da quanti anni che non potevo percorrere Shuada Street in macchina, oggi con la jeep!” Poi arriviamo alla stazione di polizia di Qiriat Arba, vicino alla demolizione vista di mattina. Qui ci fanno accomodare in un container, che è un loro ufficio. Sedetevi, non posso, dice Adham, che ha le mani legate dietro la schiena, mentre io e Jawad le abbiamo davanti. O mi cambiate la legatura ai polsi o non mi posso sedere. Saranno durate due ore di battibecchi, con la scusa che non avevano altre cinghie, ma non battibecchi: picchiami, tanto non ho la telecamera, ma non mi siedo, sparami se vuoi, tanto il fucile ce l’hai. Ma sei sempre così arrabbiato, gli dico io, quando vai a casa cosa fai? Lo prendono in giro anche perché Dima in arabo è un nome femminile. Ma lui fa sempre il duro, “hai visto troppi film” gli dico. Ma come siamo contenti di stare qui e di vederti arrabbiato. Quando ci porti in prigione così dormiamo un bel po’? Squilla il mio telefono, il soldato buono mi aiuta a sfilarlo di tasca, ma poi arriva Dima e me lo strappa di mano e lo spegne mettendoselo in tasca. Poi suona l’altro telefono, ma non provo più a rispondere. Finalmente il soldato gentile torna con cinghiette nuove e si può sistemare Adham con le mani davanti. Così si siede vicino a noi, su una specie di divano, ma chiacchieriamo. Silenzio! anzi, di peso mette Adham su una sedia contro un angolo, Jawad in un altro angolo, io prendo un’altra direzione. Silenzio! E ci mettiamo a cantare Unadeikum (è un po’ come cantare O bella ciao). Allora fuori, uno da una parte, uno dall’altra, io da solo dentro. Passa il tempo, a un certo punto butta fuori anche me. Poi gli dico non te ne andare senza restituirmi il telefono. Mi sta venendo freddo, posso mettermi la camicia? No, tieniti il freddo. In qualche modo il soldato gentile mi lascia mandare il primo SMS. Poi si capisce che ci sono i poliziotti indagatori: la prima deposizione che raccolgono è quella di Dima, poi tocca ad Adham, poi a Jawad. Direi che a questo punto, verso le sette, finalmente, ci tagliano le cinghie dai polsi, allora posso andare a pisciare, “si” e anche a bere. Grazie, era ora. Un poliziotto con l’aria gentile si siede con noi (scopro poi che è quello dell’indagine). Parla arabo, e non gli riesce di credere che io parlotto dopo solo sei mesi di permanenza qui. Gli dico: “Tutti i problemi vengono da quanto è incazzato Dima?” Non risponde, invece ci lascia fare le prime telefonate, ma poco dopo chiamano anche me nell’ufficio investigativo. Prima la prima impronta: il poliziotto che mi porta parla ebraico o russo, beh, gli dico, pratiche KGB? A se era KGB ora impiccato. No, caro mio se eri KGB credo che impiccavi i tuoi coloni!
Nell’ufficio investigativo è tutto tranquillo, mi legge la deposizione di Dima, correggo con la mia, c’è la chiamata di un avvocato a cui hanno pensato da YAS, che dice la posizione dei palestinesi è ancora meglio della mia, che ho intralciato il lavoro dei soldati. Comunque mi suggerisce di accettare la proibizione di stare nella zona per quindici giorni, così non ci rinviano a giudizio. E infatti, dopo un giro completo di foto segnaletiche e impronte di tutte le dita e tutte le mani (KGB), ci rimettono insieme, e arrivano i nostri documenti. Siamo liberi! Scendiamo la ripidissima stradella abbracciati e saltellando. Fuori c’è già un fratello di Jawad che ci aspetta, andiamo a prendere un panino e mi accompagnano a casa, dove entriamo tutti e tre in trionfo: era il mio massimo desiderio, venire rilasciato insieme ai palestinesi, e non come tante volte separatamente. Ora per due settimane, non mi posso avvicinare a meno di duecento metri dal covo dei coloni a Tel Rumeida: peccato per le potature da finire, e le visite ad alcune case. Vedrò come fare. A parte foto, ne metterò anche io, su FB sotto Youth Against Settlement c’è un bel video di oggi. Foto sempre FB: International community against Israel

Abu Sara da Al Khalil, 22 ottobre 2012

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