BALATA CAMP – NABLUS
Credo che non vedrò mai Sebastia, le rovine della città romana. Arrivando a Nablus la mia vena archeologica si è fatta di nuovo sentire. Samaria, il regno del Nord, gli Assiri. Ho pensato: sono solo e dovrei avere il tempo per andarci. Anche stavolta non è stato così.
BALATA CAMP – NABLUS
In ogni città palestinese si trovano delle piazze da cui si parte per varie destinazioni con il ‘service’, il taxi collettivo. Da Jenin a Nablus il prezzo è veramente basso. Il tempo è bello e il paesaggio come sempre interessante. Arrivo alle 12 giusto in tempo per la via crucis del venerdì santo che in Cisgiordania si celebra con gli ortodossi, quindi una settimana dopo quella cattolica celebrata a Gerusalemme e Betlemme. Qua non ho potuto dormire in famiglia in parrocchia perché sono più tradizionalisti, mi ha detto Abuna Johnny.
Majdi, il mio referente logistico, mi ha chiamato dicendo che è a Ramallah e tarderà. Per cui mi fermo a parlare con Abuna Johnny e Baha, un seminarista che ho conosciuto a Ramallah il lunedi’ prima. Entrambi parlano italiano e sono stati “adottati” da una parrocchia di Como. Devo dire che apprezzo tutti i preti diocesani palestinesi, ma Johnny e’ uno dei miei favoriti.
Parliamo fra l’altro della relazione fra musulmani e cristiani. Johnny mi dice che i rapporti sono buoni e che hanno scritto una lettera indignata all’ambasciatore Oren a Washington, il quale ha sostenuto che Israele fa di tutto per proteggere i cristiani dai musulmani. All’Arab Educational Insitute vicino al checkpoint di Betlemme, mi hanno poi detto che Israele prova sempre a dividerli persino con la politica dei permessi per visitare Gerusalemme. Arriva anche un frate per aiutare con le confessioni e un palestinese che l’accompagna. Vivono a Ramleh, vicino all’aeroporto Ben Gurion. Il frate mi conferma l’importanza di cominciare a celebrare la messa in ebraico perché molti cristiani in Israele non parlano più bene l’arabo e poi ci sono molti clandestini. Questo è ciò che avevo già visto a Jaffa nei primi giorni della mia permanenza. A Gerusalemme proprio il sabato di Pasqua ho assistito alla veglia in ebraico della piccola comunita’ locale.
Alle 7 e’ previsto il funerale di Gesù, cerimonia tipica della Palestina, e Majdi non si fa ancora sentire. Provo allora un hotel lì vicino ma è tutto occupato. Per fortuna Majdi chiama e mi dice di andare a Dawar, il centro città. Con lui incontro Lily, cinese americana di Philadelphia,
e trovo posto nel suo stesso hotel, Yasmeen, nel vecchio suk. E’ oramai troppo tardi per il funerale, decido di andare alla veglia del sabato. Chiedo a Majdi come raggiungere Sebastia il giorno dopo. Lui mi suggerisce di andare a Balata camp con Lily la mattina e a Sebastia il pomeriggio. Ricordo Balata camp, la distruzione della seconda Intifada e ricordo all’improvviso che là incontrai proprio Majdi che si lamentava che Abuna Nandino non lo avesse chiamato almeno per salutarlo. Sono qua a compensare…
La mattina dopo partiamo e andiamo al centro delle donne. La presidente è molto giovane, cosa tipica del centro mi dice Majdi. E’ una carica elettiva e può stare in carica due mandati di due anni ciascuno al massimo. L’economa ha 22 anni. Dopo un giro del centro vengo a conoscenza del progetto di Lily: fare murales nel campo. Lei ha progetti un po’ dovunque (Rwanda, Taiwan, Congo, ecc.) ed ha lavorato con Padre Alex a Korogocho. La sua idea è che dipingere insieme può aiutare a guarire le ferite dei conflitti attraverso il contatto con la bellezza. Per questo ha fondato i “Barefoot Artists” (www.barefootartists.org). E’ stata a Balata camp gia’ l’estate 2011. Hanno fatto un murales grandissimo e molto colorato. L’idea di base parte da lei ma poi le donne suggeriscono i temi da disegnare secondo i loro desideri. Una giovane donna timida di nome Isra si avvicinò chiedendo di poter dipingere. Si è rivelata molto dotata ed ora è qua insieme ad un altro giovane, Arqan, per aiutare Lily. Il centro donne vuole anche aprire un corso d’arte con Isra come responsabile.
Andiamo al centro sanitario UNRWA del campo dove sta il muro prescelto per il nuovo murales. Prendiamo i pastelli e cominciamo a fare un albero con fiori e foglie e stelle. Lily approfitta del fatto che sono alto e mi mette a disegnare dove gli altri non arrivano. Sono anni che non disegno ma i fiori sono facili anche per me. Poi cominciamo a colorarli con le tempere e Lily insiste che io continui. E’ pomeriggio e penso a Sebastia ma arrivano i bambini dalle scuole
e non me la sento di andare. La prima volta che venni qua visitai il pozzo della Samaritana che sta proprio di fronte a Balata camp.
Alcuni ragazzi ci tirarono sassi. Sono passati alcuni anni e sono qua circondato pacificamente. Majdi mi dice che la seconda intifada e anni di violenze hanno distrutto la comunita’ civile palestinese. In particolare è sparita quella partecipazione e quel forte senso di solidarietà che contribuì alla riuscita della prima intifada. Fino a pochi anni fa non era pensabile venire qua e disegnare. Perfino l’estate scorsa alcuni hanno minacciato di distruggere il murales. Dopo mesi è sempre lì. E’ questa la strada per ricostruire la loro dignità e incanalare la loro energia in forme di lotta positive?
Passano i minuti e dopo i soliti approcci iniziali, how are you?, what’s your name?, i ragazzi chiedono di dipingere con noi. Il primo è un disastro, Lily lo ferma. Arriva una bambina, provo a darle il pennello e stavolta funziona. Dopo un’ora Lily ed io ci troviamo alcuni metri dietro e mangiamo un gelato portatoci da Ramsi che fa il soldato a Ramallah. I ragazzi dipingono.
Majdi, Lily ed io la sera favoleggiamo di andare a Hebron, Qalandia, Jordan Valley e Jenin a riempire di murales le zone più tristi. E poi di portare altri artisti, musici e scultori. Ricostruire dal basso quello che l’occupazione ha sconvolto e che i fragili progetti delle ONG hanno fallito a ricostruire.
Per ora accontentiamoci di camminare a piedi nudi per Balata camp.
(fd)
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