Acqua, problema politico per la Palestina occupata. Il report della Carovana per l’acqua

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Gerusalemme, 13 settembre 2011.

Siamo in cammino da alcuni giorni con La Carovana per l’acqua, esperienza internazionale di solidarietà che vuole promuovere il principio che l’acqua è un bene comune e un diritto umano, e vi facciamo partecipi di questo viaggio.
La Carovana ha iniziato il suo percorso di conoscenza riguardo all’accesso alle risorse idriche nei Territori Occupati Palestinesi, con una conferenza a Gerico organizzata dai Comitati Popolari di Resistenza Nonviolenta della Valle del Giordano, per la prima volta sul tema dell’acqua, dal titolo “Acqua: un diritto umano”.
Questi comitati, nati con l’inizio della costruzione del muro che li separa dalle terre che coltivavano, oggi stanno mettendo al centro della loro lotta la difesa del diritto all’acqua.
Ne hanno parlato Shaddad Al Attili, capo dell’Autorità palestinese dell’Acqua, Majed Fetian, governatore di Gerico, e Fathy Khdeirat, in nome dei comitati. Tre voci diverse, tre punti di vista che hanno confermato con passione e preoccupazione le difficoltà di accesso all’acqua che la popolazione palestinese deve affrontare, denunciando allo stesso tempo l’indifferenza della comunità internazionale agli appelli dell’Autorità Palestinese.

I rappresentanti di E-wash, un coordinamento di circa trenta Ong palestinesi che lavorano sull’acqua, anch’essi promotori dell’incontro, hanno introdotto il problema del trattamento delle acque reflue che nel West Bank vengono gettate ovunque e vanno verso Israele o verso il mar Morto.
Ci siamo dunque confrontati con i livelli istituzionali, con le organizzazioni locali e con i comitati di base, secondo il metodo delle carovane di articolare tutti i soggetti impegnati per l’acqua.
I dati che studi e ricerche di università e organizzazioni umanitarie diffondono, trovano una drammatica testimonianza nelle condizioni di vita che ci sono state descritte e nella visita che al pomeriggio ci ha portato nella Valle del Giordano, dove circa 8000 coloni che vivono in 28 insediamenti controllano il 92% delle risorse idriche.
La valle del Giordano, la biblica terra di latte e miele, un tempo così fertile da essere notoriamente chiamata il granaio della Palestina, oggi è prevalentemente ridotta a deserto nel territorio palestinese ed in particolare nelle zone dove sono stanziati i beduini, i quali sopravvivono a stento grazie alle poche piogge invernali.
Una situazione emblematica che abbiamo visitato è la sorgente di Aloja, prosciugata a causa della costruzione di pozzi a monte e di una stazione di pompaggio di acqua che approvvigiona il vicino insediamento israeliano. I beduini, che stanziavano nei dintorni anche per l’antica presenza di una fonte che costituiva un punto di ristoro, si sono dovuti spostare.

Estese coltivazioni di palme da datteri verdeggiano invece nelle terre israeliane confiscate ai palestinesi. Se fin’ora sono state piantate 1 milione di palme, il progetto prevede di arrivare a 4 milioni. Questo è un tipo di coltivazione che diventa produttivo dopo una decina d’anni, un tempo troppo lungo per i coltivatori palestinesi alle prese col problema quotidiano della sopravvivenza. Inoltre richiede capacità d’investimento che solo i coloni si possono permettere anche grazie al sostegno delle fondazioni ebraiche nel mondo.

Tra l’alternarsi di palme e zone aride abbiamo tentato di individuare il fiume Giordano: sapevamo che negli ultimi cinquant’anni la sua portata si è ridotta di oltre la metà, e il fatto che non sia più individuabile a vista d’occhio ce lo ha confermato.
A conclusione della prima giornata è emerso con chiarezza un quadro grave e complesso: “l’acqua è diventata un problema politico”, secondo le analisi delle autorità locali: occupazione, muro, ordinanze militari che dal 1967 disciplinano la gestione dell’acqua nei Territori Occupati Palestinesi, in palese contraddizione col principio del diritto all’acqua. Per la costruzione di pozzi, di acquedotti e reti fognarie è necessario chiedere il permesso a Israele, che spesso lo nega. Di conseguenza il popolo palestinese e, in particolare, l’Autorità dell’Acqua non ha la sovranità per intervenire nella risoluzione dei problemi idrici e igienico-sanitari, e viene in questo modo impedita nell’esercizio del proprio diritto all’acqua.
Acqua, terra, cibo: tre diritti interdipendenti spesso negati in tante regioni del mondo.
Anche in questa terra, che ci ha accolto col suo carico di storia, di fascino, di spiritualità, la rivendicazione della sovranità del popolo palestinese, finora incentrata sulla questione della terra si allarga anche alle risorse idriche.
Sempre di più, anche a livello del bacino del Mediterraneo, i movimenti della terra e quelli dell’acqua si stanno unendo nel tentativo di far convergere gli sforzi e gli impegni in un’unica lotta per la terra, l’acqua e il cibo. In questa prospettiva è stata lanciata ai comitati popolari palestinesi, principali referenti della Carovana, la proposta di portare la loro testimonianza al prossimo Forum Alternativo Mondiale dell’acqua di Marsiglia (marzo 2012) ed il Contratto Mondiale si farà interprete presso il comitato organizzatore di tale proposta.

La Carovana continua, altri appuntamenti ci aspettano, altri volti, situazioni, speranze. Domani continueremo il viaggio sulle strade della Palestina, accompagnati da questi nuovi amici.

Cinzia, Marco, Rosario
per il Comitato Italiano per il Contratto Mondiale dell’Acqua

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