1 febbraio 2012
Christian Elia
I negoziati tra Israele e Palestina sono fermi. La leadership di Ramallah chiede una semplice precondizione: lo stop alla costruzione di colonie illegali in Cisgiordania, come sancito dal diritto internazionale. Un diritto diventa un privilegio e gli incontri ad Amman sono stati sospesi.
Mentre Israele si concentra sulle primarie del partito Likud del premier Benjamin Netanyahu, che non ha alcun interesse in questi giorni a parlare con i palestinesi, ilriavvicinamento tra Hamas e Fatah procede sul campo della politica e delle prossime elezioni in Palestina, proprio come quelle che nel 2006 sancirono la spaccaturaall’interno dei palestinesi, visto che Fatah – appoggiata dalla comunità internazionale – non riconobbe la vittoria di Hamas. Tante cose sono cambiate da allora, compresa la primavera araba e la pressione del movimento di giovani palestinesi per l’unità che ha spinto i due partiti più importanti a riavvicinarsi.
Gaza, però, resta chiusa fuori dal mondo dall’embargo israeliano e chiusa dentro da una situazione sempre più difficile da gestire per Hamas, che la governa dal 2006. Almeno tre sono i fattori che rendono un quadro confuso e preoccupante. Il processo per l’omicidio di Vittorio Arrigoni, l’aggressione all’attivista per la difesa dei diritti umani Mahmoud AbuRahma e la tensione interconfessionale tra sunniti e sciiti.
Cominciamo dalla fine. La tensione settaria, nel cuore dell’Islam, tra sunniti e sciiti è vecchia come la storia stessa che inizia con la rivelazione del profeta Mohammed. Solo che, nel 2003, certi equilibri ormai solidi sono stati stravolti. L’invasione dell’Iraq ha riportato al potere a Baghdad gli sciiti, l’elezione nel 2004 di Mahmud Ahmadinejad alla presidenza iraniana ha inaugurato un rinnovato internazionalismo sciita. La tensione interconfessionale diventa palpabile, dall’Iraq al Bahrein, dal Pakistan all’Afghanistan, dall’Iran all’Arabia Saudita. E oggi anche a Gaza.
Il 17 gennaio scorso, alcune organizzazioni non governative della Striscia di Gaza denunciano l’arresto immotivato, dopo una cerimonia religiosa, di alcuni fedeli sciiti. Una cosa mai vista prima, anche perché pur lontani a livello dogmatica da Teheran, Hamas ha sempre ricevuto sostegno dall’Iran in chiave anti israeliana. Il raid è avvenuto in un appartamento di Beit Lahia, dove alcuni sciiti pregavano, ma sono stati picchiati e la casa è stata distrutta. Secondo le testimonianze raccolte da al-Jazeera, l’incursione sarebbe stata condotta da poliziotti di Hamas, ma il portavoce del ministero degli Interni di Gaza, Ihab Ghussein, nega qualsiasi implicazione religiosa, specificando che il blitz era una normale operazione di polizia.
Uno dei gruppi che ha denunciato l’episodio di violenza è stato il al-Mezan Centre for Human Rights. Mahmoud AbuRahma è il responsabile della comunicazione dell’al-Mazen Centre. Mahmoud è stato aggredito, la notte del 13 gennaio scorso, da uomini armati di bastoni e a volto coperto che lo hanno picchiato nel portone di casa sua. Mahmoud era stato bersagliato di minacce, via sms ed e-mail, dopo la pubblicazione di un articolo velenoso contro la leadership palestinese, concludendo che sia Hamas sia Fatah stanno fallendo nella loro missione politica. Come non legare i due episodi?
Hamas, di fatto, non può e non vuole ammettere che al suo interno ci sono divisioni. L’ala più intransigente non ne vuole sapere del dialogo con Fatah e con Israele. Questa tensione è acuita dalla presenza nella Striscia di Gaza, difficilmente quantificabile, di elementi salafiti estremisti che, nel mondo, non mancano mai di guardare agli sciiti come eretici peggiori di chi non è musulmano. Per finire, a livello di gestione del potere, Hamas si deve guardare dal consenso politico che la Jihad Islamica sta raccogliendo attorno a sé. Questi sono tutti motivi che hanno concorso a spingere Hamas a riaprire il dialogo con Fatah, per non restare isolato, ma anche ad accentuare la censura.
Il processo per l’omicidio dell’amico Vittorio Arrigoni, avvenuto a Gaza il 15 aprile 2011, è giunto alla sua undicesima udienza, celebrata il 30 gennaio 2012. Grazie alle cronache puntuali e appassionate di Michele Giorgio, corrispondente del manifesto, e di Meri Calvelli, che da anni vive e lavora a Gaza, si disegna un quadro surreale di rinvii, scarsa documentazione e assenza di trasparenza. Perché? Hamas non gradisce l’idea che si svelino responsabilità all’interno del partito? Non vuole che emerga una situazione di non totale controllo della Striscia? Quale che sia la risposta, la verità è lontana.
Tre storie diverse, tre problemi lontani tra di loro. Importante, però, capire come la popolazione civile di Gaza è sempre più sotto pressione. L’embargo, come ammettono anche le Nazioni Unite, è criminale. Affama, isola, priva del diritto alla casa, alla salute, all’istruzione centinaia di migliaia di innocenti. Le tensioni interne, però, finiscono per rendere ancora più soffocante la situazione, tra tensioni e censure. Chiusi dentro, chiusi fuori, ai confini di Gaza.
http://www.eilmensile.it/2012/02/01/ai-confini-di-gaza/
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