admin | November 11th, 2011 – 6:31 am
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Era nella natura delle cose. E’ cominciata, in Egitto, la battaglia sulla legittimità del Consiglio Militare Supremo (SCAF), che regge le sorti del paese dall’11 febbraio. Dal preciso momento nel quale Hosni Mubarak si è dimesso, e si è rifugiato (almeno nel primo periodo) nella sua lussuosa villa di Sharm el Sheykh.
Quanto è legittimo lo SCAF? Quanto sono legittimi gli atti che ha compiuto in questi mesi? E soprattutto, è legittimo che il Consiglio Militare Supremo si sia potuto permettere, in questi nove mesi, di arrestare, incarcerare e giudicare attraverso tribunali militari migliaia di egiziani (12mila, secondo le ONG che si occupano di diritti umani e civili)? Non sono questioni di poco conto, anche se le abbiamo tutti sottovalutate, quando un pugno di ragazzi di Tahrir – in testa Mona Seif, la sorella minore di Alaa Abdel Fattah – ha cominciato a porre in evidenza il nodo dei militari tribunali che in questi mesi hanno processato migliaia di civili.
Ora i nodi sono arrivati al pettine. Rivoluzione o controrivoluzione? Che tipo di Egitto si sta preparando? E le alte gerarchie militari che lo hanno governato in questi mesi da che parte della barricata stanno? Per molti, tra quelli che hanno fatto la rivoluzione, la risposta è chiara e netta. Sei tra le più importanti ong che si occupano di diritti umani si rifiutano ormai di incontrare lo SCAF, proprio sulla questione dei tribunali militari. E l’ultimo articolo pubblicato dal Carnegie Endowment for Peace conferma tutti i timori legati ai poteri in mano a una giunta militare, mentre – d’altro canto – gli Stati Uniti continuano una politica solo in superficie neutrale nei confronti dell’Egitto.
A rendere più rapido uno scontro che era già nell’aria, è stato indubbiamente l’arresto di Alaa Abdel Fattah, ora rinchiuso nel carcere di Tora. L’arresto di uno dei protagonisti di Piazza Tahrir, il più lucido dal punto di vista politico, è stata considerata non solo una provocazione, ma la conferma che gli attivisti erano diventati il vero bersaglio. E se i rivoluzionari sono il bersaglio, la battaglia sulla loro incolumità e la loro libertà diventa più che simbolica. Diventa la battaglia.
Lo dice chiaro e tondo Alaa al Aswani (a proposito, oggi pomeriggio a Palermo ne parleremo con Lucilla Alcamisi e Stefano Savona, alla Feltrinelli di via Cavour, alle 18). In uno dei suoi commenti settimanali, con il tono della parabola già usato in altri articoli, Aswani descrive le modalità della controrivoluzione. E arresti, carcere e processi ai ragazzi di Piazza Tahrir sono gli strumenti principali di un regime (quello di Mubarak) che prova a salvare se stesso. Senza pudore.
Il caso Alaa Abdel Fattah, d’altro canto, sta montando. Come ci si attendeva. Ha parlato Amnesty International. Ne parlerà il Parlamento Europeo. Sua madre, Layla Soueif, Umm Alaa, ha cominciato domenica scorsa lo sciopero della fame, e altre persone ne hanno seguito l’esempio. Compreso il patron della casa editrice – Dar Merit – che negli anni scorsi è stata l’espressione della letteratura giovane egiziana.
Una descrizione molto bella di Layla Soueif, della battaglia di una attivista che dura ormai da decenni, è stata fatta su Al Shorouk da sua sorella, Ahdaf Soueif. Grande scrittrice, una vita a Londra e un impegno costante per l’Egitto, Ahdaf Soueif era nell’aula del tribunale del Cairo assieme a tutta la famiglia di suo nipote Alaa Abdel Fattah. Famiglia di attivisti, tutti quanti. La descrizione di una vita coerente sin nei piccoli gesti dice molto non solo dell’Egitto, ma di quello che io mi augurerei per il nostro, di Paese. Una intellighentsjia seria, coerente, coraggiosa, molto coraggiosa. Tanto coraggiosa da essere sempre coscienza critica.
Buona lettura.
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