Le ruspe accendono i motori. Anche qui a Silwan, quartiere arabo di Gerusalemme Est, avevano sospeso per alcuni mesi il loro “lavoro” dopo una timida protesta americana, ma finalmente stamattina, 13 luglio 2010, ricevono il via libera delle autorità israeliane: potete tranquillamente procedere nella demolizione di un’altra casa palestinese. Linda assiste a distanza e stringe ancor più forte a sé i suoi cinque figli. Solo quando davanti ai suoi occhi ci sono solo ormai macerie, la donna grida: “Voi continuate a costruire centinaia di insediamenti sulla nostra terra e noi non abbiamo nemmeno il diritto di vivere nella nostra casa!”
E’ passata una settimana dal “decisivo colloquio” tra Obama e Natanyahu, ma né l’uno né l’altro sembrano aver minimamente sentito l’eco del grido disperato di Linda, come di quello degli altri milioni di palestinesi oppressi da un’occupazione militare sempre più pesante. D’altra parte, osserva Amira Hass, “nonostante la continua espansione degli insediamenti israeliani, la demolizione delle case, l’aumento della violenza sui palestinesi ai check-point, l’uccisione dei pacifisti, il brutale embargo che sta distruggendo Gaza, Obama ha detto a Netanyahu che riconosce che ultimamente Israele “ha dimostrato moderazione”! Ma io chiedo ad Obama se ha mai provato ad immaginarsi la vita di un palestinese sotto occupazione, mentre fa tutti questi elogi alla moderazione di Israele.”
In realtà il colloquio tra i due leader è stata l’ennesima delusione per ogni reale prospettiva di pace. L’atteso faccia a faccia ha clamorosamente smentito le previsioni della vigilia, che annunciavano “una vibrante protesta americana” o almeno “un avvertimento deciso all’alleato ostinato” da parte del Presidente americano, dopo l’aggressione terroristica di Israele nei confronti dei pacifisti aggrediti con un atto di pirateria prontamente interpretato come consueta legittima difesa.
Qualcuno ha provato a leggere perfino nell’espressione seria, corrucciata e “senza il minimo sorriso” del volto di Obama una traccia di possibile disapprovazione o perlomeno una differenza di vedute tra l’amministrazione americana e l’attuale governo d’Israele. Ma in realtà il titolo più efficace l’ha composto il Manifesto: “Amici come prima”. Come a dire che chi ancora spera in un deciso cambio di rotta nella politica della totale sudditanza americana, deve proprio mettersi il cuore in pace: Israele può e potrà sempre e contare sul sostegno a costo zero del suo maggiore finanziatore e sostenitore.
Le parole scelte dal presidente Obama ne sono la dimostrazione: il “legame tra Israele e gli Stati Uniti è indissolubile”. (E se non ci resta altro che giocare con le parole, sappiate che questo “indissolubile” è stato anche tradotto da qualche giornale con “indistruttibile”…).
Al limite del ridicolo è ormai ogni approccio di “processo di pace” quando il primo ministro israeliano si può permettere di aprire sotto gli occhi del timido Obama la sua valigia, per ostentare l’ennesimo faldone di migliaia di permessi freschi di autorizzazione per costruire altre colonie illegali a Gerusalemme! 2700 nuovi insediamenti illegali rappresentano più di duemila pugnalate inferte con arrogante superiorità a chiunque ancora perde tempo nel bla-bla del “congelamento della colonizzazione come condizione per la pace”.
Non sappiamo se immaginare un Obama che sgrana gli occhi allibito da tanta sfrontatezza o un Presidente tranquillamente conscio del fallimento di ogni suo precedente buon proposito di contribuire ad arrivare ad un accordo finale di pace. Comunque sia, è evidente che da una parte, pur mutando nome e volto del suo primo ministro, Israele persiste da decenni nel conservare la sua potentissima posizione di potere assoluto, mentre dall’altra, politicamente e tatticamente l’alleato americano si dimostra sempre più debole e incapace di intervenire efficacemente.
Debolezza al limite dell’incredibile, visto che solo a poche settimane dalla conferma americana, nell’ambito del Trattato di non proliferazione nucleare, della volontà di costringere Israele a mettere in discussione il suo possesso di almeno 200 ordigni nucleari, i media riportano tutt’altro orientamento degli Usa: “Netanyahu ha avuto la rassicurazione dal Presidente che gli Usa riconoscono il pieno diritto d’Israele ad avere una capacità nucleare militare, non escludendo il sostegno degli Usa a qualsiasi opzione, anche militare, per impedire all’Iran di dotarsi di armi atomiche” (Haaretz).
E pensare che negli Stati Uniti si moltiplicano nuove organizzazioni e lobby pro-Israele. E il leader di una di queste, Bauer, ha descritto la presidenza di Obama come “l’amministrazione più anti-israeliana di tutta la storia degli Stati Uniti”.
Dal nostro punto di vista continuiamo a sperare che qualcuno convinca Obama a diventare anche lui una “boccascucita”, sicuri come siamo che non può non conoscere come stanno realmente le cose.
E chissà se ci sarà mai la possibilità che qualcuno, magari durante un coffee-break, possa sporgere al Presidente Usa almeno uno dei voluminosi e “pesantissimi” Rapporti stilati in questi mesi dai più autorevoli organismi internazionali sul peggioramento delle condizioni di vita sotto occupazione, sulle demolizioni delle case o sulla colonizzazione inarrestabile a Gerusalemme Est, come Amesty International, la Croce Rossa (BoccheScucite n.105), l’UNRWA e ARJI (in questo numero, in: Lente d’ingrandimento).
Chissà poi se in questi giorni qualcuno ha avvisato il Presidente che c’è posta per lui: ben 16.000 cittadini israeliani gli hanno scritto prima che vedesse Netanyahu:
Caro Presidente Obama, Come lei sa bene, per un reale passo in avanti verso la pace, la costruzione di insediamenti in Cisgiordania deve essere semplicemente fermata. Ha fatto bene l’anno scorso a spingere Israele a congelare ogni costruzione illegale. Ora è necessario estendere quella decisione. Quelli di noi che hanno più a cuore Israele sanno bene che gli insediamenti sono un male anche per noi. La preghiamo di premere sul primo ministro Netanyahu affinché estenda l’ordine di congelamento della costruzione di nuove colonie a tutta la Cisgiordania. Si ricordi che noi israeliani vogliamo la pace e proprio per questo le chiediamo di fermare l’occupazione e la colonizzazione di cui è responsabile il nostro governo. Ascolti la nostra voce che chiede giustizia per invertire la rotta di una strada che ci sta portando verso la distruzione del nostro stesso Stato e, irrimediabilmente, sempre più lontani dalla pace.
E cosa potrebbe realmente decidere Obama se nella migliore delle ipotesi, potesse leggere attentamente almeno uno di quei Rapporti internazionali? E se volesse rispondere alle migliaia di israeliani che gli hanno scritto quella lettera?
Forse basterebbe che il fotografo della Reuter, che stamattina ha immortalato ogni minuto della distruzione della casa di Linda, a Silwan, gli mostrasse ad una ad una le immagini di questo terribile reportage di quotidiana usurpazione, con i volti e le lacrime dei piccoli e degli anziani. E magari che gli spiegasse l’imprevedibile conclusione: dopo aver fotografato per ore ogni particolare di questa violenza, il fotografo non ha resistito; ha riposto la macchina fotografica nella custodia e ha cominciato ad aiutare Linda e i suoi parenti a recuperare tra le macerie gli oggetti più cari. Un quadro con la moschea Al-Aqsa, qualche gioco, e uno straccio di dignità.
Bocchescucite
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