tratto da: https://frammentivocalimo.blogspot.com/2021/02/amira-hass-sei-falsita-sugli-avamposti.html
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Di solito, le menzogne dei politici e degli alti funzionari del governo sono irritanti e ci danno la sensazione che ci considerino stupidi. Ma in un campo conosciuto, l’ottusità popolare e auto indotta.
Da una risposta delle Forze di Difesa Israeliane a una richiesta di informazioni, alcune menzogne che ci piace credere siano state eliminate, come merce avariata. Le menzogne non si trovano nella risposta stessa, ma riguardano fatti che devono essere raccontati integralmente per comprendere la concisa risposta dell’esercito.
Mi riferisco a sei avamposti che sono allevamenti di bestiame e aziende agricole nella Valle del Giordano settentrionale, e sono menzionati nella stessa richiesta di informazioni, presentata nell’agosto 2020 da diversi attivisti per i diritti umani. Gli avamposti sono conosciuti con i nomi dei loro ispiratori, Tzuri, Uri, Asael, Menachem e Moshe, e ce n’è anche uno appartenente alla famiglia Amosi nella Fattoria Tene Yarok.
Alla base della richiesta c’è la questione se gli agricoltori israeliani che vivono in questi avamposti abbiano effettivamente ricevuto un permesso speciale per far pascolare le loro mandrie in aree dichiarate “zone di fuoco”, mentre l’esercito e l’Amministrazione Civile espellono i pastori palestinesi da quelle stesse aree e distruggono le loro comunità (vedi Khirbet Humsa solo nelle ultime due settimane).
La prima menzogna è che le vaste zone di fuoco nella Cisgiordania occupata esistono a causa di una necessità oggettiva di addestramento militare. Questa menzogna era evidente per i palestinesi nel primo momento in cui i blocchi di cemento sono stati posti sul loro territorio diversi decenni fa, avvertendo del pericolo di accedere alle loro terre. I documenti pubblicati decenni dopo essere stati originariamente scritti o divulgati dimostrano che i palestinesi hanno ragione.
Ad esempio: c’era una richiesta dell’allora Ministro dell’Agricoltura Ariel Sharon nel 1981 che l’esercito dichiarasse Masafer Yatta (un comprensorio di 19 villaggi palestinesi nelle colline sud di Hebron) una zona di fuoco, al fine di frenare “la diffusione degli arabi”; e ci sono i verbali di una riunione a porte chiuse nel 2014 in cui un ufficiale dell’IDF ha ammesso che la “riduzione” delle manovre di addestramento “fa crescere le erbacce” (cioè le comunità palestinesi).
La seconda menzogna è che, secondo le mappe ufficiali, i suddetti avamposti non esistono nemmeno. Basta dare un’occhiata alla mappa del Consiglio dei Coloni della Valle del Giordano e non se ne troverà traccia. Ma in realtà, a partire da venerdì scorso, tutti e sei esistono e sono disposti lungo circa 16 chilometri, in un’area di circa 100 chilometri quadrati tra il villaggio palestinese di Ein al-Beida a nord e il villaggio di tende di Al Hadidiyah che Israele continua a demolire, nel sud.
La terza menzogna riguarda gli ordini di demolizione emessi automaticamente dall’Amministrazione Civile contro gli avamposti, il primo dei quali è stato costruito a settembre 2016 e l’ultimo a novembre 2020. Gli ordini di demolizione sono validi, ma gli avamposti si espandono e prosperano liberamente. La classica risposta, che l’esecuzione verrà effettuata in conformità con “l’ordine delle priorità”, è una straordinaria combinazione di inganno e verità, al punto da renderli indistinguibili: a capo dell’elenco del cosiddetto ordine di priorità c’è il mitzvah (comandamento) per diseredare ed espellere i palestinesi.
La quarta menzogna è sottintesa dagli stessi ordini di demolizione: come se gli avamposti apparissero all’improvviso, interi e completi e del tutto inaspettatamente, e nel momento in cui vengono scoperti le forze dell’ordine si affrettassero a fare il loro lavoro ed emanare gli ordini. Ma la costruzione è stata eseguita in pieno giorno nel tempo e davanti agli sguardi complici di ufficiali dell’esercito e soldati della Brigata Valle del Giordano dell’IDF. C’è la casa prefabbricata che è stata trasportato dentro, il bulldozer che ha appiattito il terreno, il recinto per le mucche e le pecore, la strada asfaltata, la recinzione in costruzione che incorporerà una riserva naturale in un avamposto, tubature che portano l’acqua da una vicina base militare o insediamento.
La quinta menzogna è ciò che ha spinto Dafna Banai di Machsom Watch (un gruppo di donne attiviste anti-occupazione), Itamar Feigenbaum di Combatants for Peace (Combattenti per la Pace) e il Rabbino Arik Ascherman di Torat Tzedek (Torah della Giustizia) a presentare una richiesta di informazioni all’esercito, tramite l’avvocato Itay Mack. Da quando è stato costruito il primo dei sei avamposti fuorilegge, gli attivisti hanno sentito ripetutamente da soldati e ufficiali della Brigata Valle del Giordano che i coloni avevano ricevuto il permesso ufficiale di pascolare i loro animali nelle zone di fuoco.
Di seguito la risposta che Mack ha ricevuto dal portavoce dell’IDF, il Generale di Brigata Hidai Zilberman, responsabile delle richieste di informazioni pubbliche: “Le autorizzazioni scritte, concesse dagli organismi autorizzati dell’IDF, per quanto riguarda l’ingresso nelle zone di fuoco, non includono i permessi di ingresso nelle zone di fuoco nelle aree indicate nella vostra richiesta.” Quindi i soldati della Brigata locale hanno mentito agli attivisti? I comandanti propinavamo menzogne alle loro truppe e ai loro stessi superiori? Gli ufficiali superiori sono bugiardi? Chi lo sa.
La sesta menzogna sta nella definizione di questi e molti altri avamposti come “singole fattorie”, da cui si potrebbe concludere che ogni fattoria è l’iniziativa personale di un diverso colono. Non c’è bisogno di aspettare 50 anni per un documento che riveli che tutte queste fattorie condividono un unico Dio. Le somiglianze nel loro modo di agire e la loro ricchezza rivelano un unico modello e gestione, il cui indirizzo esatto non fa differenza.
Questo è il modello: i giudeo-samariani si stanno insediando lungo il perimetro delle zone di fuoco e in aree coltivate di proprietà dei palestinesi da generazioni. Ufficialmente, i loro avamposti fanno parte degli insediamenti esistenti. Di fatto sono deliberatamente lontani, come i nuovi insediamenti costruiti come apparenti “quartieri” a una distanza di diverse cime montuose dall’insediamento di provenienza, e quindi riempiendo lo spazio che li separa di strade di collegamento mentre l’accesso dei palestinesi al propri terreni agricoli o aree di pascolo vengono bloccati per “motivi di sicurezza”.
La creazione di aziende agricole che coltivano la terra o allevano bestiame è un trucco che consente un accaparramento di terreni più rapido, economico ed efficiente rispetto alla costruzione di unità abitative aggiuntive su un insediamento. Qui tutto ciò che serve sono lauti finanziamenti governativi travestiti da donazioni anonime, un paio di affaristi guidati dalla lussuria immobiliare camuffata da eccitazione religiosa, inviati dal Mather Movement (detto ironicamente, un movimento anti-occupazione), giovani con il testosterone alle stelle e abiti religiosi alla moda, armati fino ai denti.
Le fattorie espandono continuamente la loro area di dominio, sia che siano protette dalla violenza dei soldati e dalle menzogne delle autorità, sia che i loro proprietari esercitino il loro talento nel perpetrare violenze contro i pastori palestinesi. O una combinazione di queste due forme di violenza.
Amira Hass è corrispondente di Haaretz per i territori occupati. Nata a Gerusalemme nel 1956, Amira Hass è entrata a far parte di Haaretz nel 1989, e ricopre la sua posizione attuale dal 1993. In qualità di corrispondente per i territori, ha vissuto tre anni a Gaza, esperienza che ha ispirato il suo acclamato libro “Bere il mare di Gaza”. Dal 1997 vive nella città di Ramallah in Cisgiordania. Amira Hass è anche autrice di altri due libri, entrambi i quali sono raccolte dei suoi articoli.
Traduzione: Beniamino Rocchetto
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