di Moni Ovadia
La foto di un gesto stupido e volgare colto per caso in una città della cosiddetta “terra santa” ha la capacità di esprimere il senso di un dramma di quel luogo molto più di lunghe e complesse analisi. Una di queste istantanee l’ho ricevuta qualche giorno fa sulla posta elettronica accompagnata da questa didascalia: “Un colono getta del vino addosso ad una donna palestinese in via Shuhada a Hebron. L’atteggiamento di certi coloni nei confronti dei loro vicini palestinesi specialmente nei pressi di Nablus nel Nord e a Hebron nel sud spesso è stato quello del disprezzo e della violenza”.
La foto della fotografa Rina Castelnuovo ed è stata pubblicata sul NewYork Times. La donna su cui viene gettato il vino è abbigliata alla maniera tradizionale delle mussulmane, il colono che getta il vino in segno di sfregio è un giovane ebreo ortodosso. Anche il suo abbigliamento e alcuni dettagli lo identificano per tale. In testa porta la kippà o yarmulka come si dice in yiddish, dalla cinta dei pantaloni gli fuoriescono le frange del talleth katan la veste rituale che l’ebreo osservante deve indossare sotto la camicia a contatto con la pelle, le frange, tzitziot gli ricordano i precetti negativi o positivi che deve osservare e che danno senso alla sua identità, ai lati delle tempie porta cernecchi superfluenti: le peyot mistiche. Questi segni sono forse le stimmate di qualche fanatismo o integralismo? No! non lo sono. Per secoli nella diaspora hanno identificato una delle più luminose spiritualità della storia. È la peggiore delle malattie che colpiscono le religioni che li rende minacciosi: il nazionalismo, la peste di ogni spiritualità.
Oggi gli ebrei festeggiano il capodanno, è una straordinaria occasione per ricordare che il messaggio della Torah è soprattutto un messaggio di giustizia, amore e fratellanza universale. A tutti gli ebrei shanà tovà.
Buon anno.
L’Unità, Sabato 19 Settembre 2008
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