domenica 14 agosto 2011
In Italia la notizia è passata quasi sotto silenzio. Ma da quando, il 14 luglio scorso, una giovane donna ha piantato una tenda nel centro di Tel Aviv per attirare l’attenzione sulla forte crescita dei prezzi delle case, la contestazione pacifica si è intensificata fino a diventare la più grande protesta popolare del Paese.
Il movimento per la giustizia sociale ha piantato tendopoli nei principali centri metropolitani, mobilitando oltre il 4 per cento della popolazione (un israeliano su 20 è sceso in strada per partecipare alle enormi manifestazioni della scorsa settimana).
La protesta israeliana sembra essere partita dai figli istruiti della classe media e un vasto pubblico vi si è identificato.
Persino il primo ministro ha ammesso che la protesta è giustificata, o che almeno viene accolta con comprensione. Il timore è però che gruppi di teppisti possano emulare i fatti di Londra. È davvero commovente vedere attivisti storici di tutte le età, che per anni sono stati come voci nel deserto, trattenersi nelle tende dei giovani che stanno conducendo la nuova protesta con grande compostezza.
Israele non è mai stato uno Paese egualitario. Ma nei suoi giorni migliori, è stato più egualitario di gran parte delle nazioni di tutto il mondo. La povertà non era grave e la ricchezza non era soltanto ostentazione, e la responsabilità sociale nei confronti dei poveri e dei bisognosi era evidente non soltanto a livello economico, ma anche a livello emotivo.
Nell’Israele del passato, chi lavorava – e quasi tutti, donne e uomini, lavoravano impegnandosi con tutte le loro forze – era in grado di avere un tenore di vita modesto ma dignitoso, per se stesso e per la sua famiglia. Ai nuovi immigrati, ai rifugiati, ai residenti dei campi per immigrati, venivano garantite l’istruzione pubblica, l’assistenza sanitaria e la casa. La giovane, e povera, Israele conduceva un’eccellente politica sociale. Ma tutto ciò è stato distrutto negli ultimi 30 anni, poiché i governi dei grandi capitali hanno incoraggiato, ed esasperato, un’economia selvaggia che si basava sull’accaparrare il più possibile e con ogni mezzo.
La protesta che sta invadendo le strade e le piazze di Israele va ben oltre una semplice protesta per il problema degli alloggi. Questa protesta scaturisce dalla rabbia e dallo sdegno nei confronti del governo indifferente alle difficoltà della popolazione, e nei confronti di misure rigorose e non eque che colpiscono i lavoratori e minano la coesione sociale.
Le immagini confortanti delle tendopoli che si stanno diffondendo in tutte le città di Israele, dei medici che manifestano per difendere i loro pazienti, delle dimostrazioni e dei cortei sono tutti segnali di una sorprendente rinascita di fraterna solidarietà e di impegno civile.
In fondo, il messaggio più urgente dei dimostranti, prima ancora di quello che reclama la «giustizia sociale» e fa gridare «abbasso il governo», è: «Siamo tutti fratelli».
Le risorse necessarie per ristabilire la giustizia sociale in Israele vanno cercate in tre direzioni diverse.
Primo, i miliardi che Israele ha investito nelle colonie, che sono l’errore più madornale della storia di questo Paese, come pure la sua più grave ingiustizia.
Secondo, le cifre astronomiche destinate alle yeshiva, le scuole talmudiche ultra-ortodosse, dove crescono generazioni intere di ignoranti e nullafacenti, che non hanno alcun rispetto per lo Stato, la popolazione di Israele e la realtà del 21esimo secolo.
E terzo, forse il più importante, il caloroso appoggio del governo di Netanyahu e dei suoi predecessori ai vari tycoon e ai loro compari che si sono arricchiti in maniera incontenibile, a scapito della classe media e dei poveri.
Non bisogna dimenticare da dove proviene il denaro che confluisce nelle colonie, nelle yeshiva e nei conti correnti dei magnati. Proviene dalla fatica e dal talento creativo di milioni di israeliani che reggono sulle loro spalle un prodigioso sistema economico, unico al mondo, per uno stato povero di risorse naturali (non abbiamo ancora iniziato a utilizzare il gas naturale) e ricco di risorse umane.
Né i partiti né gli storici gruppi di opposizione hanno dato vita a questa protesta. È nata dalla devozione e dall’entusiasmo di centinaia e di migliaia di giovani che hanno trascinato con sé il meglio del Paese.
È davvero commovente vedere attivisti storici di tutte le età, che per anni sono stati come voci nel deserto, trattenersi nelle tende dei giovani che stanno conducendo la nuova protesta con grande compostezza. Le persone come me, che hanno contestato per lunghi anni le scelte dei governi d’Israele, accolgono a braccia aperte questa nuova generazione, di gran lunga migliore delle precedenti, con affetto e ammirazione.
© Amos Oz,traduzione di Marta Matteini
http://frammentivocalimo.blogspot.com/2011/08/amos-oz-qui-in-piazza-ci-sono-i.html
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I migliori? Mi auguro che facciano parte di una nuova generazione che ancora non ha votato, visto che i “precedenti giovani” hanno sempre sostenuto con il loro voto la politica di oppressione ed appartheid nei confronti dei palestinesi.. Ci voleva la “rivolta del carovita” per svegliarli? E’ comunque un problema che tocca loro personalmente.. Dei loro vicini e conterranei importa loro qualcosa? Vivono al di qua del “muro di divisione” e quel che accade al di là lo apprendono soltanto durante l’obligatorio servizio milititare… ma scuote le loro oscienze? Non mi pare visto il trattamento che riservano ai palestinesi, bambini compresi, durante il loro “servizio”… Ci vuo ben altro che un sit in di protesta per mantenere i propri privilegi per rendere migliori i giovani israeliani…