ANALISI. Yerday: “Riconoscere la discriminazione degli ebrei etiopi in Israele è un passo nella giusta direzione”

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04 apr 2017

«Finché non capiremo che Israele usa le stesse tecniche con gli ebrei etiopi e con i palestinesi, non potremo iniziare a combattere l’oppressione» scrive la docente israeliana

Etiopi

Protesta degli ebrei etiopi a Tel Aviv, maggio 2015 (Foto: Bbc)

 

di Efrat Yerday*   Middle East Eye

Roma, 4 aprile 2017, Nena News – Il rapporto di questo mese della Commissione sociale ed economica dell’Onu per l’Asia occidentale, che ha accusato Israele di aver imposto un regime d’apartheid sui palestinesi, ha avuto gran visibilità e ha persino causato le dimissioni della direttrice di quell’agenzia.

Tuttavia, una settimana prima che lo studio venisse pubblicato, il Dipartimento di Stato Usa aveva presentato il suo rapporto annuale sui diritti umani. Il documento ha dedicato più pagine – 141 in totale – alla situazione in Israele e nei Territori Occupati che ad ogni altro paese, Cina esclusa.

Cosa ancora più importante, per la prima volta il rapporto si è molto concentrato sulla “persistente discriminazione sociale” in Israele contro gli ebrei etiopi. Il rapporto ha evidenziato lo sproporzionato alto numero di minori etiopi israeliani condannati alla prigione e la povertà in cui vive almeno metà delle famiglie etiope d’Israele. Ad ogni modo, la maggior parte dello studio ha esaminato la brutalità della polizia contro gli israeliani etiopi alla luce del pestaggio a Tel Aviv del soldato israeliano etiope Demas Fekadeh ripreso in un video nell’aprile nel 2015.

Nelle settimane successive alla pubblicazione del filmato, migliaia di israeliani etiopi e i loro sostenitori hanno iniziato a protestare contro la discriminazione e la brutalità della polizia e in alcune di queste manifestazioni ci sono stati scontri con la polizia. Quello che è successo a Demas Fekadeh non è un caso isolato. Incidenti del genere dove la polizia importuna gli israeliani etiopi sono comuni, solo che in questo caso è stato registrato dalla telecamera.

Due facce della stessa medaglia

La verità è che la brutalità della polizia contro i palestinesi e gli ebrei etiopi, evidenziata nel rapporto del Dipartimento di Stato, sono le due facce della stessa medaglia dell’oppressione. Tuttavia, la prima è considerata legittima e permette agli israeliani di mantenere la coscienza pulita perché la si giustifica con “motivi di sicurezza”. L’ultima lascia la società israeliana-ebraica con un leggero senso di colpa – ma solo un po’ – visto come opera la gerarchia della cittadinanza israeliana. Quando lo stato ebraico dichiara di dare a ciascun ebreo che ne ha necessità l’opportunità di essere naturalizzato, bisogna leggere le clausole scritte in piccolo e le condizioni di cittadinanza con cui ciascun specifico gruppo di popolazione deve fare i conti. Gli unici gruppi a cui vengono imposte conversione e quote sono scuri: dell’America Latina, India ed Etiopia (per quello che ne sappiamo).

Il peccato originale dello stato ebraico non è stata necessariamente l’occupazione, ma ciò che l’ha preceduta: il peccato della supremazia bianca, abbastanza consueto nel mondo prima della Seconda Guerra Mondiale e che continua ad essere ancora oggi operativo.

Negli ultimi anni il discorso pubblico all’interno della società ebraica in Israele e all’estero si sta sempre più dividendo in una prospettiva ristretta: Sionismo e anti-sionismo. Questa stretta dicotomia del discorso [pubblico] non permette [la diffusione di] altre prospettive, a volte radicali, ed è usata dalla classe dirigente israeliana per celare la radicalizzazione e la supremazia bianca all’interno della popolazione ebraica d’Israele.

Attenuare il colpo

Invece di parlare apertamente di razzismo o di supremazia bianca, gli israeliani usano differenti eufemismi che servono a perpetuare lo stesso sistema di oppressione per ebrei e non ebrei. Invece di discutere degli israeliani etiopi come cittadini, ad esempio, loro usano il termine “eda” che vuol dire essenzialmente tribù, gruppo etnico, minoranza. E al posto di “razzismo” usano “kipuach” che è un modo per dire che qualcuno non ha ottenuto pieni diritti. Questi termini attenuano la conversazione come se quello che si stesse discutendo fosse una questione marginale tra fratelli e sorelle (ebrei, ovviamente).

Quando decodifichiamo questi eufemismi e guardiamo alla storica negazione del razzismo nella società ebraica, è impossibile non accorgersi delle infrastrutture della cittadinanza gerarchica che si fondano sulla supremazia bianca. In altri termini, mentre questa negli Usa è stata istituita all’interno di una chiara storia di oppressione incorporata nella costituzione del Paese, la versione israeliana utilizza il Sionismo e l’Ebraismo come forma legale e costituzionale di stato.

Senza addentrarci troppo in profondità [nella discussione], gli israeliani che non sono bianchi non sono stati capaci di individuare la somiglianza tra un genere di oppressione e l’altra. Molti affermano che questa realtà di razzismo svanirà con la prossima generazione, la quarta, che è quella degli immigrati mediorientali e del Nord Africa dopo il 1948. In modo delirante costoro citano i matrimoni misti, l’elezione di Obama o quanti Mizrahi [“ebrei orientali, ndr] sono in politica [per sostenere che ormai è] soltanto una questione di tempo.

Il collegamento mancante

Paragonato ai rapporti del periodo 2012-2015, quello pubblicato il 3 marzo dal Dipartimento di Stato Usa ha offerto il resoconto più dettagliato sulle violazioni dei diritti umani a danno degli ebrei etiopi. Ma per come è stato organizzato – Israele vs Territori Occupati – non riesce a cogliere il legame tra le stesse pratiche usate dal governo nei Territori Occupati e quelle impiegate all’interno d’Israele. Prendete, per esempio, i metodi di controllo della folla usati contro gli etiopi e i palestinesi. Separare queste modalità governative in Israele da quelle adoperate nei Territori occupati incoraggia solo la falsa idea di “riunire gli esuli”, la stessa idea che ha costituito il principale motivo per [la creazione di] uno stato ebraico. Come è stato scritto nella dichiarazione di indipendenza d’Israele (megilat Ha’atzmaut):

“Lo Stato d’Israele sarà aperto per l’immigrazione ebraica e per la riunione degli esuli, incrementerà lo sviluppo del paese per il bene di tutti i suoi abitanti, sarà fondato sulla libertà, sulla giustizia e sulla pace, come predetto dai profeti d’Israele, assicurerà completa uguaglianza di diritti sociali e politici a tutti i suoi abitanti senza distinzione di religione, razza o sesso, garantirà libertà di religione, di coscienza, di lingua, di istruzione e di cultura, preserverà i luoghi santi di tutte le religioni e sarà fedele ai principi della Carta delle Nazioni Unite.”

Ma invece di sviluppare un sistema di uguali diritti come lo stato d’Israele ha affermato nel suo testo canonico di legittimazione, [Tel Aviv] ha sviluppato costituzionalmente un meccanismo di cittadinanza gerarchica sia all’interno del popolo ebraico che verso i non ebrei. Per capire e agire contro i differenti tipi di oppressione, bisogna comprendere le sofisticate e complesse pratiche di oppressione che agiscono nello stesso modo in giro per il mondo e fra Israele e i Territori Occupati.

Quando riusciremo a smascherare il modo in cui lo stato continua a dividerci, saremo più svegli e abili a marciare verso giorni migliori. Nena News

Efrat Yerday è un’editorialista e insegna all’Università Ben Gurion. I suoi scritti affrontano temi come la storiografia, il razzismo e la mancanza di opportunità per le persone di colore nella società ebraica d’Israele. Nena News

*(Traduzione a cura della redazione di Nena News)

 

 

ANALISI. Yerday: “Riconoscere la discriminazione degli ebrei etiopi in Israele è un passo nella giusta direzione”

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