Antropologia gerosolimitana in piscina

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admin | November 25th, 2013 – 7:10 pm

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Una goccia cade nella piscina. Anzi, più d’una. Gocce pesanti, grandi. Arrivano da lassù, dall’ampio tetto a vetrate che copre la vasca semiolimpionica dell’Università Ebraica di Gerusalemme. Segni del tempo. Il tetto avrebbe bisogno di manutenzione, e quando piove a dirotto, a Gerusalemme, l’acqua si fa strada nelle guarnizioni degli infissi. Eppure, quelle gocce lanciate sul viso dei nuotatori hanno il loro fascino, rompono la monotonia delle bracciate, risvegliano dal torpore di quei movimenti automatici. Quelle gocce, soprattutto, mostrano una crepa nella quasi-perfezione della piscina. Bella spaziosa ariosa azzurra. Comoda e spartana a un tempo. Poggiata su quel declivio trasformato in giardino, che irrompe dalle vetrate e arriva nelle corsie. Il giardino grande e in lieve pendenza, dove tutto è verde, gli alberi e il pratino all’inglese, rifugio per un’ora di requie dalla quotidianità dura di Gerusalemme.

Per fortuna ci sono quelle gocce sul viso.

Colpiscono chiunque, nella piscina. Colpiscono la vecchia signora che viene qui tre volte alla settimana, alla mattina. Ha problemi di circolazione alle gambe. Scende in acqua, nella prima corsia, e pian piano si muove, con costanza. Tradisce le origini russe, ha il viso allegro e – che strano! – mai stanco. Nonostante l’età e gli acciacchi. Colpiscono – le gocce… – anche quel ragazzo palestinese che è qui alle sette e mezzo di pomeriggio. Esce dal lavoro, forse. Magari è un impiegato, o un tecnico. Palestrato, i muscoli gonfi, sgraziati, in onore all’ultima moda in voga tra i ragazzi palestinesi, chiusi dentro improbabili palestrine di body building nella Città Vecchia e nei quartieri popolari di Gerusalemme est.

Il ragazzo pensa di saper nuotare perché ha i muscoli gonfi, smuove pesantemente l’acqua, fa molto schiuma, si guarda attorno, timidissimo. Accanto a lui, nella corsia più centrale, il prototipo della nuotatrice giovane, perfetta, atletica, sinuosa. Palestinese anche lei, con sua madre parla uno slang arabo-inglese, tipico di chi ha studiato nelle scuole americane. Anzi, di chi, nella borghesia palestinese di Gerusalemme, appartiene a quella oligarchia storica ha potuto mandare i figli a studiare nei campus statunitensi. Le sue bracciate a delfino sono poetiche, la schiena si inarca quel tanto che basta, senza sforzo, quasi non facesse fatica a sollevare il corpo minuto.
Le distanze sociali, tra lei e lui, tra l’universitaria e il tecnico palestrato, sono così palesi perché sono uno accanto all’altra, e forse raramente si troverebbe così vicini.

È che la piscina dell’Università Ebraica è un altro dei non-luoghi di Gerusalemme. Certo, non così singolarmente ecumenico come il Mall di Malcha, il simbolo dei grandi magazzini cittadini. Alla piscina dell’università ebraica non tutti possono accedere. Studenti e professori, sì certo. Giornalisti, diplomatici, comunità internazionale. Israeliani che pagano un costoso abbonamento. Palestinesi? Dice chi ha provato a fare l’abbonamento che non a tutti è permesso. E non tutti tra i palestinesi, a dire il vero, amerebbero frequentare la piscina o la grande palestra attrezzata dell’università, perché significherebbe normalizzare i rapporti tra le due comunità in conflitto e coabitazione forzata.

Eppure, nonostante tutto, quella piscina è uno scorcio della società gerosolimitana. Un case study per un lavoro sociale e antropologico sul campo. Non solo per chi la frequenta. Non solo perché negli spogliatoi, a pulire, c’è solo personale palestinese, come succede per quasi tutti i muratori e i netturbini di Gerusalemme, ma perché chi la frequenta si gestisce lo spazio e il tempo in maniera tale da ritagliarsi delle vere e proprie sezioni della quotidianità. Due esempi. La mattina, in piscina, ci sono gli anziani israeliani, spesso docenti in pensione, oppure esponenti della larga comunità immigrata dall’ex Unione Sovietica. Di pomeriggio tardi, cambia tutto, e a nuotare sono soprattutto ragazzi palestinesi, qualche ‘internazionale’, e pochissimi israeliani. Come se alla divisione delle comunità e della città corrispondesse anche una suddivisione dei tempi del giorno. Diversi, l’uno dall’altro, come molto di quello che si fa a Gerusalemme.

Su tutti allo stesso modo, quando piove a dirotto in città, arrivano le gocce pesanti, dense, grandi che scendono in picchiata dal soffitto a vetrate. Non guardano in faccia a nessuno, le gocce. Ma nessuno se ne accorge.

La playlist prevede oggi Farid El Atrache, Ya wili men hobbo.

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