as-shab yurid, in ebraico

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admin | September 4th, 2011 – 2:22 pm

È stata la più imponente protesta di piazza della storia di Israele. Non il milione desiderato dagli organizzatori. Ma ben 400mila sono state le persone che in tutto il paese sono uscite di casa e si sono riversate nelle strade e nelle piazze delle città israeliane. 300mila a Tel Aviv, dove 50 giorni fa tutto è cominciato, con la protesta per il caro-affitti. 40mila a Gerusalemme. Altrettanti a Haifa, dove israeliani ebrei e arabi hanno marciato insieme. 400mila in piazza, in un paese che conta appena circa sette milioni di abitanti, vuol dire una percentuale difficilmente paragonabile a quella di altre latitudini.

Chi si aspettava una fase di stanchezza, nella protesta delle tende in Israele, si è dovuto ricredere. E il richiamo alle rivolte nei paesi arabi è sempre più insistente. A metterle insieme, il protagonismo della società in aperta contrapposizione con la politica. Movimento trasversale, lontano dai partiti, movimento contro la politica vecchio stampo, la protesta delle tende non chiede solo sostegni alle famiglie, lavoro, solidarietà, futuro, welfare, risposte alla povertà crescente e al carovita. Sono in molti, tra gli esponenti della protesta, a chiedere soprattutto un nuovo vocabolario della politica, nuove strategie per costruire lo Stato, e la fine della frattura tra i palazzi del potere e la società. E a guidare questo cambiamento, anche in Israele come nei paesi arabi, sono i giovani.

Chi sono i protagonisti del J14  (così si chiama su twitter la protesta in Israele) lo si sa. Società reale, media e piccola borghesia, nuove povertà, e soprattutto coloro che si sentono espulsi dal futuro, prigionieri di un Palazzo che ritengono non dia più risposte solide per poter affrontare non solo la crisi economica, ma lo stesso domani di Israele dentro il Medio Oriente. Nuove generazioni che non riescono a  interpretare anche la retorica di Israele allo stesso modo, come è successo nei decenni precedenti, dalla questione della sicurezza alla questione sociale.

Questo è il quadro d’insieme. Certo, comunque, le interpretazioni sul J14 sono molto diverse, dentro Israele. E sono trasversali tanto quanto è trasversale la protesta. C’è chi, ancora oggi,  sottovaluta un movimento magmatico, dal basso, senza praticamente leader,  da cui la sinistra dei partiti – storica rappresentante delle istanze sociali, sia politiche sia sindacali – è stata allontanata (anche per una consunzione interna che dura da anni). Il fatto che il Labour non abbia ruolo nella protesta non vuol dire che la protesta non abbia forti tratti di sinistra, soprattutto della sinistra estrema, dell’associazionismo, del fronte pacifista. Ne è conferma anche il fatto che alcuni degli opinionisti più noti, come Gideon Levy, siano degli strenui sostenitori del J14: bellissimo, appassionato e allo stesso tempo razionale il suo commento del 3 settembre.  Pensare, però, che un movimento che è solo cresciuto, in questi 50 giorni, e non si è minimamente consumato possa rappresentare unicamente la sinistra israeliana, vuol dire non comprendere la forza di una protesta che – proprio in questa sua trasversalità – trova il suo punto di congiunzione con le rivolte arabe. È il popolo, fonte della legittimità del potere, che pretende risposte strategiche da un potere che non considera più capace, abile, preparato a disegnare il futuro dei singoli. È dunque, ancora una volta, come da mesi nella regione (e non solo), una protesta che nasce dalle carenze della rappresentanza politica e dalla confusa necessità (non ancora delineata appieno dal punto di vista teorico) di cambiare le modalità della rappresentanza.

È in questa coralità spontanea – “il popolo pretende la giustizia sociale”, è lo slogan principale del J14 – che sta il nodo, ancora tutto da analizzare. Perché quel “popolo pretende” non è ancora né di destra né di sinistra. È un popolo che ospita richieste le più diverse, unite dalla mancanza di risposte degli amministratori politici, e dalla comprensione istintiva che molto, della gestione della cosa pubblica e del rapporto  con i rappresentati, vada cambiato.

La questione palestinese deve, paradossalmente, essere separata dal J14, e in questo mi risulta poco comprensibile come mai parte della sinistra israeliana, quella più decisamente pacifista, non si renda conto che la protesta sociale vada vista a se stante. È come se, finalmente, la società israeliana si dovesse occupare di sé, e di se stessa soltanto. Passare il tunnel, curarsi in una sorta di psicoterapia collettiva rimandata da troppi anni, interrogarsi sui propri malanni, e solo dopo dire la sua sull’occupazione dei territori palestinesi. Può sembrare  folle, tutto ciò, perché l’occupazione è parte integrante della malattia israeliana. Ma solo una scannerizzazione totale e senza sconti della propria società potrà dare le giuste risposte sul conflitto con i palestinesi. Risposte senza ipocrisie, senza velli, e senza alibi. Israele non deve parlare di sicurezza, in queste settimane: questo chiedono le centinaia di migliaia di persone scese in piazza sabato sera. Deve parlare di sé, e di se soltanto.

La foto è una delle tante che si possono trovare su Flickr, e le tendine da campeggio sono le stesse che si potevano vedere nelle immagini di piazza Tahrir (a proposito, chi le produce? in questi mesi avrà aumentato di molto le vendite, suppongo). Un solo appunto, ai protagonisti della protesta #J14 in Israele. I ragazzi arabi, molto più usi a utilizzare da anni social network e nuov tecnologie, sannno che parte del loro successo mediatico è stato dovuto all’uso sapiente dei copyright. Hanno tolto i copyright dalle foto delle proteste, consentendo a tutti di diffonderle in giro per il web. Molti israeliani, invece, chiudono col catenaccio del copyright le loro foto. E sbagliano…

http://invisiblearabs.com/?p=3433

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2 Commenti

  1. E che problema c’è? Tanto i media italiani sono abituati a fregarsene del copyright. Molto spesso invece basterebbe una richiesta per ricevere il consenso, soprattutto in casi come questi: anche questo fa parte del rispetto dei diritti degli altri.

    Per quanto riguarda l’articolo spero che possa essere l’inizio di una svolta per un paese che probabilmente si è spostato troppo a destra per pensare di risolvere la questione palestinese.
    Saluti

  2. PS2, sono appena tornato dalla Terra Santa ed avevo visto dall’autobus questi assembramenti di tende in un paio di città che abbiamo attraversato: tagliato fuori dall’informazione per una decina di giorni ora ho capito cos’erano.
    Tra l’altro il caro vita in Israele, mi dicono, spinge i giovani verso le colonie in Cisgiordania aggravando quindi la situazione nel luogo.

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