Il 10 maggio 2002 terminava l’assedio israeliano della Chiesa di Betlemme: 26 palestinesi deportati a Gaza, 13 in Europa dove non sono autorizzati a lavorare né studiare.
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dalla redazione
Betlemme, 10 maggio 2013, Nena News – Sono trascorsi undici anni dall’assedio israeliano alla Chiesa della Natività: undici anni di esilio per i dodici dei tredici palestinesi deportati in Europa dopo 40 giorni di coprifuoco israeliano. Altri 26 furono deportati nella Striscia di Gaza.
L’assedio alla Chiesa della Natività seguì all’invasione israeliana di Betlemme, negli anni caldi della Seconda Intifada, durante l’operazione “Scudo Difensivo”. Solo uno dei palestinesi deportati è tornato a Nablus, nel marzo 2010. Ma ci è tornato cadavere: Abdullah Dawood, del campo profughi di Balata a Nablus, è morto all’età di 48 anni in Algeria.
Gli altri? Alcuni di loro sono stati contattati nei giorni scorsi dall’agenzia stampa palestinese Ma’an News. Jihad Jaraa, 42 anni, del campo profughi di Al-Arrub, Hebron, è in Irlanda dove partecipa attivamente ai movimenti pro-palestinesi, in particolare a favore dei prigionieri politici detenuti in Israele. Non può lasciare il Paese, ha detto Jaraa a Ma’an News, e non è autorizzato né a lavorare né a studiare. Vive dello stipendio mensile che gli gira l’Autorità Palestinese.
In Irlanda si trova anche il 33enne Rami al-Kamil, anche lui senza possibilità di lavoro e di studio. È stato più volte posto agli arresti domiciliari dalla polizia irlandese. In Belgio è stato esiliato Khalil Abdulla Nawaira, di Betlemme. Stessa situazione: salario dall’ANP per poter sopravvivere.
Il 44enne Muhammad Said Abu al-Said, del campo profughi di Dheisha, è stato esiliato in Italia, dove ha sposato una donna palestinese. Ha rivisto la sua famiglia una sola volta, dopo essere stato autorizzato a entrare in Giordania. Migliore la situazione di Ahmad Ulayyan Hamamra, del villaggio di Husan, deportato in Spagna dove ha aperto un’organizzazione privata.
L’assedio di Betlemme è cominciato il 2 aprile del 2002, quando le forze militari israeliane hanno invaso Betlemme e i vicini villaggi di Beit Jala e Beit Sahour con circa 250 carri armati e jet F-16. In poche ore hanno assunto l’intero controllo dell’area. Nei giorni successivi il fuoco israeliano ha ucciso il 60enne ‘Aboud al-‘Ameri, il 38enne Khaled Ibrahim ‘Aabda, sua madre Sumaia Hussein di 60 anni, il 18enne ‘Eissa Da’bous e tre uomini armati palestinesi.
A causa dell’ingente attacco, circa 200 palestinesi si rifugiarono nella Chiesa della Natività, per lo più civili e poliziotti, insieme ai frati e ad alcuni guerriglieri di Fatah. Nei giorni successivi, le forze militari israeliane hanno più volte aperto il fuoco contro la Chiesa per costringere i palestinesi rifugiati dentro ad uscire, anche impendendo ad attivisti internazionali di portare cibo, acqua e medicine all’interno della Chiesa. Il fuoco israeliano ha ucciso, l’8 aprile, il 23enne Khaled Mousa Abu Siam, colpito alla testa da una pallottola. Due giorni dopo è toccato a Ali Farah, centrato al petto, e il 13 aprile al 26enne Hassan ‘Abdullah al-Nasman. Il 29 aprile è stato ucciso il 29enne Nidal Isma’il ‘Ebayyat, membro delle Brigate Al-Aqsa, e il 2 maggio il 21enne Ahmed Mohammed Abu’Aabed, membro dell’intelligence militare palestinese. Un altro decesso due giorni dopo: il 40enne Khalaf Ahmed al-Najajra è stato centrato al petto da un cecchino.
Intanto, si agiva anche sul piano mediatico: Israele ha costantemente minacciato i giornalisti presenti sul posto, ritirando a 24 di loro la tessera stampa e aprendo il fuoco contro l’auto di un giornalista palestinese.
Il 10 maggio, l’assedio è terminato dopo un lungo negoziato con i governi europei. Tredici palestinesi sono stati deportati in Europa, ventisei a Gaza. Un bilancio durissimo: sette morti nella Chiesa, circa 40 feriti, ridotti alla fame dall’assedio israeliano, oltre al danneggiamento della Basilica. Mentre il resto della popolazione di Betlemme resteva chiusa in casa per 40 giorni, sotto coprifuoco. Nena News
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