Pubblicato il 3 febbraio 2014 da AbuSara
3 Febbraio 2014 – Charlie Andreasson- Gaza, Palestina
L’epidermolisi bollosa è un nome esotico per definire cio che è, nella sua forma più grave, una rara, dolorosa e fatale malattia. E ‘causata da un deficit della proteina che lega gli strati di pelle insieme; crea frizione, vesciche e ferite aperte che si riemarginano lentamente.
Queste vesciche ed erosioni si verificano anche all’interno delle mucose. Le ferite sono simili ad ustioni di terzo grado e i bambini – le vittime della forma più grave difficilmente sono più grandi dei bambini- sono anche più esposti al cancro della pelle. Non esiste una cura.
Nell’ appartamento di Daniela Riva a Gaza City c’è una festa, con dolci e cordialità. Ci sono alcuni bambini colpiti da questa malattina, insieme ai loro fratelli e alle loro madri. L’atmosfera è allegra. Giocano e si contendono il prossimo turno alla Wii.
Una delle bambine, dopo un po’, attratta dalla mia barba rossa e dai miei e occhi azzurri, mi prende il taccuino e vi disegna un grande cuore. Ci mette un po ‘di tempo per colorarlo bene dentro.
Questi bambini sono particolarmenti piccoli di corporatura ed hanno piaghe rosse sul volto.
I loro corpi devono mettere molto impegno nel curare le ferite, per quanto possibile, e mantenere sotto controllo i sintomi della malattia. Dimostrano sei o sette anni. In realtà, ne hanno dieci. Si muovono rigidamente, principalmente a causa di tutte le bende che indossano: bende che formano uno strato tra la pelle e gli abiti per evitare che questi si attacchino alle ferite, così da permettere loro di vivere una vita ragionevolmente normale, senza il dolore che ogni contatto altrimenti causererebbe. I loro movimenti sarebbero comunque tesi anche senza queste bende.
La loro pelle tesa e fragile li porta a girare il corpo e la testa insieme e le dita diventano a mano a mano sempre più curve e rigide.
R- chiamiamola così- è la più attiva durante la festa. Ha dieci anni, un sorriso che ti cattura, nonostante i suoi denti e le sue gengive malate, e con la sua manina, più simile ad un artiglio umano, prova a sistemarsi i capelli. I suoi occhi sono pieni di curiosità. Si muove per tutta la stanza e non riesce a stare ferma. Ma il suo respiro è affaticato, la sua voce è più un sibilo ed è difficile per lei riuscire a farsi sentire. La malattia le ha attaccato anche la trachea e la gola. E’ probabile che la sua morte sarà causata da soffocamento.
R sa che morirà. Sa che vive costantemente accanto alla morte. Ecco perché si rifiuta di dormire con lenzuola bianche: bianche sono le lenzuola in cui vengono avvolti i defunti. In alcune occasioni, quando ha avuto il raffreddore e non riusciva a respirare, ha chiesto di chiamare alcuni amici per dire loro addio. Una delle persone che ha chiamato è Daniela.
Daniela è arrivata a Gaza per la prima volta nel 2008 per lavorare sui temi dell’acqua e della salute, con una Ong italiana e non è tornata in Italia fino al 2011. Non ha trascorso tutto il suo tempo a Gaza, ma ha viaggiato tra Israele e la Cisgiordania, attraverso il valico di Erez. Durante l’offensiva militare “Piombo Fuso” si trovava a Gerusalemme. Ed è stato quando è tornata qui dopo la guerra che ha visto per la prima volta un bambino, di dieci anni, con quelle che sembravano essere ustioni di terzo grado.
Si è messa in contatto con il dr. Majdy Naim, dello Shifa-hospital, che le ha presentato altre persone malate. Insieme hanno informato giornali e radio, e hanno registrato tutti i casi di questa rara malattia nella Striscia di Gaza.
Molti genitori erano a conoscenza che ci fossero altri malati di questo tipo, ma con l’aiuto di Daniela, ora hanno costituito un’associazione grazie alla quale possono supportarsi a vicenda, e attraverso di essa cercare assistenza in tutto il mondo.
Il suo coinvolgimento con questi bambini l’ha portata a smettere di lavorare per l’Ong che l’ha condotta a Gaza. Si è invece messa in contatto con un’altra associazione, la Debra Italia. Le persone della Debra Italia erano così interessate a ciò che Daniela aveva da dire che hanno preso subito contatto con un ospedale di Roma, e nel dicembre 2012, Daniela era di nuovo a Gaza con i chirurghi specializzati che hanno operato alcuni bambini per dilatare l’esofago in modo che possano mangiare normalmente; una procedura che dovrà essere fatta più di una volta nella loro vita.
Hanno anche portato del tessuto speciale per il bendaggio, che permette ai bambini di vivere una vita più funzionale, un prodotto che non può essere trovato qui nella zona.
L’ultima volta che Daniela è tornata a Gaza, ha portato con sé una borsa di questo particolare tessuto. Ma non senza difficoltà. E’ stata fermata alla dogana all’aeroporto del Cairo, dove le è stato richiesto un certificato del Ministero della Sanità egiziano, che le permettesse di portare materiale medico. Non avendolo, ha dovuto pagare il 10% del valore del materiale, che ammontava a 600 dollari; soldi che le era stato promesso le sarebbero stati restituiti una volta attraversato il confine a Gaza. Ovviamente non ha avuto soldi indietro a Rafah. Ma ha portato il materiale dentro e questo era davvero necessario.
I bendaggi hanno bisogno di essere cambiati ogni due o tre giorni, una procedura che richiede più di due ore; per coprire tutte le ferite sono necessari dai 10 ai 15 strati, che vengono a costare dai 75 ai 125 dollari. Il materiale che ha portato durerà 5-6 mesi. Dopodiché, le famiglie possono solo sperare che Daniela o qualcun’altro entri con dell’altro tessuto.
R ha un anno da vivere. Daniela ha il sogno di portarla in Italia per permettere ai chirurghi di valutare se è possibile effettuare un ultimo intervento chirurgico alla gola e regalarle un bel viaggio finale. Non chiedo di più su questo argomento, ma sospetto che quello che lei chiama “un sogno” è ciò che la maggior parte di noi chiama determinaizone e ho visto quello che lei è in grado di fare.
Invece, le chiedo come riesce a sacrificarsi tanto e a continuare, anno dopo anno. Ora ha 36 anni, un’età in cui la maggior parte delle persone si concentrano sulla loro famiglia e sulla carriera.
E ‘stata una coincidenza che ha fatto sì che iniziasse a lavorare con i bambini che hanno questa malattia, e come lei mi spiega, sente che è giusto farlo. Non ha bisogno di alcun motivo in più.
Bambini malati terminali a Gaza: una vita breve e sotto assedio
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ARTICOLO ORIGINALE
Gaza children with terminal illness spend their final years under the siege
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