Bauman: Israele è terrorizzata dalla pace

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Non poche polemiche ha suscitato il paragone tra il muro di Varsavia e quello di Betlemme. Perchè chi l’ha detto si chiama Zygmunt Bauman, 84 anni, sociologo e filosofo polacco di origini ebraiche. Ha lasciato la Polonia nel 1968, vive in Gran Bretagna. E’ uno dei più grandi sociologi viventi, ebreo di Poznan che da bimbo visse le persecuzioni hitleriane e da adulto le purghe comuniste, che trovò rifugio a Tel Aviv per preferire poi l’Inghilterra. E che in un’intervista a un settimanale polacco, Politika, ha rovesciato sui politici di Gerusalemme la più urticante delle accuse: di fare ai palestinesi quel che fecero le SS. «Parole inaccettabili – ha protestato formalmente il governo Netanyahu, in una lettera al giornale del suo ambasciatore in Polonia -. Sgradevoli, ingiuste e senza alcuna base di verità».
Il muro di Betlemme come il muro di Varsavia: si può paragonare l’orribile barriera antiterrorismo all’orrore che fece morire mezzo milione d’ebrei? Bauman, premio Adorno, critico dei totalitarismi e del negazionismo, a 85 anni si permette di rompere il tabù: «Israele sta traendo vantaggio dall’Olocausto per legittimare azioni inconcepibili». Pugno, ergo sum: combatto, quindi esisto? Bauman ne è stracerto: «I politici israeliani sono terrorizzati dalla pace. Tremano, col terrore della possibilità d’una pace. Perché senza guerra e senza una mobilitazione generale, non sanno come vivere. Israele non vede come un male i missili che cadono sulle cittadine lungo i confini. Al contrario: i politici sarebbero preoccupati, perfino allarmati, se non piovesse questo fuoco». E ancora, citando un suo articolo pubblicato su Haaretz, lo stesso giornale israeliano che giorni fa ha ospitato lo scrittore Günter Grass e il suo parallelo fra le vittime della Shoah e le vittime tedesche della Seconda guerra mondiale: «Sono preoccupato – dice il sociologo polacco – del fatto che gli israeliani più giovani crescano nella convinzione che lo stato di guerra e l’allerta militare siano naturali e inevitabili».
(Dal Corriere della Sera, 2 settembre 2011)

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