Creato Domenica, 01 Dicembre 2013 14:37 Scritto da uky – attivista sci italia
OLTRE I MURI: 9 brevi documentari sulla vita e sull’occupazione
È possibile raccontare l’occupazione senza raccontare la lotta?
Ruotano intorno a questo interrogativo i 9 documentari , realizzati da giovani filmmaker israeliani, che per la prima volta sono stati presentati venerdì 29 Novembre alla Cinemateque di Tel Aviv, su iniziativa di Active Vision e del Servizio Civile Internazionale, all’interno del progetto Beyond Walls. Questo progetto ambisce al potenziamento della resistenza popolare, attraverso la joint struggle, una strategia di lotta che dal 2003 mette insieme israeliani, palestinesi ed internazionali contro l’occupazione, in un’ottica che rigetta la normalizzazione e la pacificazione del conflitto e che vuole costruire al tempo stesso una condizione di uguaglianza e di giustizia attraverso la trasformazione del conflitto stesso.
Ad introdurre la proiezione c’erano i giovani produttori, che a stento sono riusciti a mascherare l’orgoglio e l’emozione per la presentazione di un lavoro che ha richiesto 11 mesi di lavoro immensi. I documentari sono, infatti, frutto di workshop organizzati da Active Vision fra attivisti e non, per raccontare l’occupazione al di là delle barriere. E il risultato è stato eccezionale: la sala, colma nei suoi 150 posti, era piena di attivisti, ma anche di famiglie e gente comune. E se agli applausi scroscianti si iniziano a sovrapporre molte lacrime vuol dire che gli occhi dei filmmaker, benché inesperti, sono riusciti a scrutare il profondo ed a fissarlo sulla pellicola. Sono riusciti a tirare fuori tutti i sentimenti, i contrasti, la rabbia e la frustrazione, l’orgoglio e le paure, che chi vive sotto l’occupazione prova costantemente, al contrario di chi vive l’atmosfera rilassata da capitale europea di Tel Aviv, dove si può facilmente dimenticare qual è il prezzo che si sta pagando.
Nel discorso introduttivo Timna, attivista e filmmaker israeliana, ha spiegato come è difficile essere al tempo stesso artisti ed attivisti: l’attivismo politico richiede molte conoscenze per poter prendere posizione, per esaminare la realtà e decidere da che parte stare. Mentre all’artista si chiede di fare domande, di aprire campi di conoscenza, ma gli vengono richieste molte meno risposte. È su questa sottile linea che il gruppo Active Vision ha lavorato, prendendo posizione, agendo, con idee chiare, senza slogan o famiglie ideologiche.
I documentari, dei piccolo capolavori di 10 minuti ciascuno, hanno dovuto far fronte all’inesperienza con la creatività, ad oggi, l’arma più importante rimasta a chi vuole opporsi alla normalizzazione dell’occupazione. Abituarsi a questo stato è oggi infatti il pericolo più grande: vorrebbe dire perdita dell’identità, rinuncia alla resistenza e rassegnazione all’impossibilità di sovvertire il disegno sionista. Magistrale da questo punto di vista il lavoro di Tomer Asam che con “Friends of my father”, racconta come il proprio padre, Kobi, si senta a casa nel villaggio palestinese di Nilin, di come è nata questa amicizia e di come persista nonostante le barriere fisiche e mentali poste dall’occupazione, il tutto condito dalle battute di un uomo che ci fa capire come alle barriere sociali si possa rispondere in maniera semplice ed umana.
Ogni storia e` un piccolo gioiello, ognuna uno sguardo preciso su una delle conseguenze che l’occupazione comporta: “Al-araqib – a struggle for existance” racconta
di come il villaggio beduino nel Negev sia stato distrutto più di 56 volte dal 2010 e di come questi continuino a lottare per la loro esistenza; “Distant zone” ci parla della vita e della resistenza degli abitanti di Abu-dis, periferia di Gerusalemme, dove dal 1971 Israele accumula la maggior parte dei propri rifiuti; con “Summer in Atir” Vardit Goldner ci racconta la storia di Sanda, del suo cancro, diagnosticatole nel 2010, e di come le autorità israeliane abbiano distrutto più volte il suo villaggio nel Negev, dove lei comunque continua a vivere ed a lottare; “from symbol to reality” mostra una visione molto critica dei differenti simboli della società israeliana e della loro relazione con il militarismo e l’occupazione; “Hana’s home” racconta come Hana non abbia perso la speranza nonostante l’impossibile convivenza quotidiana con la crudeltà dell`esercito e la violenza dei coloni ad Hebron; “A blessed Shabat Shalom, get out of sheil jarah now” narra di come si viva e si resista alla periferia di Gerusalemme est, nonostante il processo di espulsione in larga scala in atto da anni. Le ultime due storie parlano del villaggio di Nabi Saleh: in “Risk”, Tznil Levi ci parla delle propria partecipazione alla lotta popolare del villaggio per più di 3 anni ed attraverso la conversazione con il suo amico e attivista locale Eiad Tamimi vengono sviscerati temi come la paura, la resistenza e la partecipazione degli attivisti israeliani alla lotta del villaggio. Nell’ultimo documentario, “Some time I’m afraid, some time I hit” di Yuval Auron, a parlare sono i bambini del villaggio che partecipano attivamente insieme alle donne alle proteste settimanali che da 4 anni gli abitanti conducono contro l’espropriazione dell’unica fonte d’acqua da parte della colonia vicina. Durante questi anni i bambini hanno acquisito una propria prospettiva dell’occupazione che ci raccontano con semplicità attraverso la propria esperienza familiare ed i propri sogni.
L’idea alla base di “Films beyond the walls” è stata un successo ed ha già superato le aspettative, è pronto per essere proiettato in diversi festival ed ha dato una visione ampia e complessa dello stato dell’occupazione oggi, raccontando la lotta per la terra, la casa, la libertà e per le proprie vite.
http://www.sci-italia.it/index.php/introduzione/398-beyond-walls-9-short-documentaries-about-life-and-the-occupation
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