Si direbbe che, stremate dalla più lunga e colossale ingiustizia della storia, anche le pietre di Gerusalemme, se potessero, griderebbero che alla radice del conflitto sta l’occupazione israeliana. Per questo tutti sanno cosa si aspettano i palestinesi dal prossimo viaggio di papa Francesco in Palestina: una denuncia forte e chiara.
In realtà, mentre i più ottimisti gioiscono per la sosta nel campo profughi di Dehisheh perché non celebrerà la Messa su terra israeliana, noi purtroppo constatiamo che anche stavolta il governo di occupazione è riuscito a condizionare efficacemente l’itinerario del papa, soprattutto perchè non si rivedano alla TV le disdicevoli immagini di papa Benedetto XVI con lo sfondo del muro di apartheid: ci pensiamo noi a portare questo pericoloso e imprevedibile papa comunista -sembra ragionare Netanyahu- facendolo calare direttamente dal cielo con un elicottero, evitando così che Francesco possa anche solo vedere il muro a Betlemme.
Ma se lo Spirito Santo è riuscito a far eleggere un papa così rivoluzionario, è troppo sperare in una sua condanna esplicita dell’oppressione israeliana? Ed è lecito sognare che, nella libertà di gesti e parole fuori-programma a cui ci sta abituando, Francesco chieda di mettersi in fila con i palestinesi nella gabbia infernale di un check-point? E’ quello che hanno detto direttamente a lui i preti della Tavola Pellegrini Medioriente, attraverso una Lettera che BoccheScucite pubblica in questo numero.
Chissà poi se qualcuno avrà informato il papa della subdola opera di “depalestinizzazione” che lo stato d’Israele da sempre sta portando avanti, soprattutto diffondendo questo semplice teorema: 1° facciamo il possibile per mettere cristiani e musulmani gli uni contro gli altri; 2° continuiamo a far credere al mondo che cristiani e musulmani non siano tutti parte dello stesso popolo palestinese; 3° con il sacrosanto obiettivo della sicurezza di Israele facciamo capire che anche i cristiani posso essere di aiuto “alleati naturali di Israele contro la minaccia dei nemici musulmani che vogliono distruggere lo stato israeliano dall’interno”. Quest’ultima dichiarazione, del deputato del Likud Yariv Levin, ha accompagnato l’approvazione dell’ultima legge del Parlamento israeliano (24 febbraio 2014) che distingue, tra i cittadini israeliani, quelli cristiani da quelli musulmani. In questo modo, prosegue Yariv, potremo compiere “un passo storico che potrebbe aiutare l’equilibrio nello Stato d’Israele, perché i cristiani, ci tengo a dirlo, non sono arabi”. (Adista 13) Insomma: l’importante è che il papa e l’opinione pubblica lascino libera la potenza di occupazione di accanirsi contro i palestinesi, convincendoli a non ricordare al mondo che i cristiani sono in realtà sia arabi che palestinesi!
E’ questa la dura replica del Consiglio dei vescovi cattolici della Terra Santa: “Noi, capi della Chiesa Cattolica in Israele, affermiamo che non è né diritto né dovere delle autorità civili israeliane dirci chi siamo. Noi e i nostri fedeli in Israele, siamo infatti arabi, cristiani, palestinesi e anche cittadini dello Stato d’Israele!”
Per questo è grave anche l’opera di manipolazione della realtà che anche in Italia è diffusa da chi, sostenendo che i cristiani sarebbero perseguitati dai musulmani palestinesi, dimentica che la sofferenza dei cristiani è dovuta al loro essere palestinesi e non alla loro fede.
Illuminanti a questo proposito restano le parole del Patriarca emerito di Gerusalemme Michel Sabbah: “Il cristiano appartiene alla sua terra, la Palestina. Per questo cristiani e musulmani siamo un solo popolo. Abbiamo qui le stesse radici, da 1400 anni. Insieme lottiamo, da palestinesi, per la nostra libertà. I figli di Palestina sono affamati, assediati, ammazzati e le nostre terre confiscate. Questa è la sofferenza e la lotta dei palestinesi, musulmani e cristiani insieme!” (Voce che grida nel deserto, Edizioni Paoline)
BoccheScucite
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