Chi ha paura dello Stato binazionale?

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21 mar 2014

Arabi e ebrei hanno coabitato fin dal 1948 in un solo Stato; è già questa la soluzione di uno Stato unico, ma diseguale: gli israeliani sono cittadini, i palestinesi sudditi.

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di Gideon Levy – Haaretz

Gerusalemme, 21 marzo 2014, Nena News – Arabi e ebrei hanno convissuto in un solo Stato fin dal 1948; israeliani e palestinesi hanno vissuto insieme in un unico Stato fin dal 1967. Questa nazione è ebraica e sionista, ma non democratica per tutti. I suoi cittadini arabi sono privati [della democrazia], mentre nei territori i palestinesi sono diseredati e privi di diritti. Lo Stato unico è già realizzato – e da un bel po’ di tempo.

Una soluzione valida per i suoi cittadini ebrei e un disastro per i suoi sudditi palestinesi. Quelli che ne sono spaventati – quasi tutti gli israeliani – ignorano che in realtà la soluzione di uno Stato esiste già. Sono solamente terrorizzati di un cambiamento della sua caratteristica – da uno Stato di apartheid e di occupazione a uno Stato fondato sull’uguaglianza. Da uno Stato binazionale di fatto mascherato da Stato nazione (di chi ha il potere) al teorizzato Stato binazionale. Comunque ebrei e palestinesi hanno vissuto in questo Stato per almeno due generazioni, quantunque separati. È impossibile ignorarlo.

Le relazioni tra i due popoli in un unico Paese hanno visto dei cambiamenti: da un regime militare nei confronti degli arabi israeliani fino alla sua abolizione nel 1966; da un periodo di calma e di maggiore libertà nei territori a periodi tempestosi di terrore sanguinario e di violenta occupazione.

A Gerusalemme, Jaffa, Ramla, Lidda, nella Galilea e nel Wadi Ara vivono ebrei e arabi e le relazioni tra di loro non sono impossibili. Anche i rapporti con i palestinesi nei territori [occupati] sono cambiati; nel corso degli anni abbiamo vissuto in un solo Paese, benché sotto controllo militare. Per 47 anni, la possibilità di ritirarsi dai territori e contribuire così al tanto desiderato carattere ebraico e democratico dello Stato è stata a portata di mano degli israeliani che temono il cambiamento di queste caratteristiche. Hanno scelto di non farlo. Magari è un loro diritto, molto discutibile, ma hanno il dovere di offrire un’altra soluzione.

In questo contesto hanno incentivato il sistema delle colonie, per impedire la spartizione. Un’impresa che ha avuto talmente successo da essere diventata irreversibile. Non è possibile opporvisi con successo: non si parla più di sloggiare oltre mezzo milione di coloni e quindi non si parla più di una giusta soluzione a due Stati.

Le proposte del Segretario di Stato USA John Kerry, che scontentano anche un gran numero di israeliani, non garantiscono una giusta soluzione, non offrono una soluzione. “I blocchi degli insediamenti” rimarranno. Ariel è dentro da tempo, e vi sono possibilità di leasing per Ofra e Beit El. Saranno presi  “accordi che garantiscano la sicurezza” per la Valle del Giordano, forse sarà anche consentito agli insediamenti di rimanere. La proposta dice no al ritorno o a una soluzione del problema dei profughi. Nel frattempo, il primo ministro si impegna a non “evacuare neanche un ebreo” e propone, con una giravolta impassibile, di porre i coloni sotto la sovranità palestinese.

Con tutto ciò può essere possibile proporre e anche firmare un altro documento (senza alcuna intenzione di attuarlo) che somiglia notevolmente a quello di tutti i suoi predecessori fin dal piano Rogers del 1969, passando per i parametri di Clinton fino alla  Road map. Tutti sollevano polvere, che si deposita in qualche archivio. Ma è impossibile risolvere il conflitto con un simile piano. I rifugiati, i coloni e la Striscia di Gaza, la mancanza di buone intenzioni e di giustizia restano tutti tali e quali.

Chi sostiene la soluzione a due Stati – a quanto pare la maggior parte degli israeliani – deve offrire una soluzione reale. Le proposte di Kerry non fanno ben sperare. Israele potrebbe solo aderire, ma solo per mantenere le sue relazioni con gli Stati Uniti e il mondo, e per mettere i palestinesi con le spalle al muro, non certo per attuare la pace o imporre la giustizia.

Da questo generale “no” sorge il “sì”: sì allo Stato unico. Se gli israeliani veramente vogliono mantenere gli insediamenti che hanno costruito, e vogliono rimanere nella Valle del Giordano, sui crinali della colline, a Gush Etzion a Maale Adumim, a Gerusalemme Est  per arrivare a Beit El – lasciateli fare così, ma poi non ci possono essere due Stati. Se non ci sono due Stati, c’è un solo Stato. Se c’è un solo Stato, allora il discorso deve cambiare: diritti uguali per tutti.

I problemi sono molti e complicati e di conseguenza lo sono anche le soluzioni: divisione in distretti, federazione, governo in comune o separato. Ma non ci sarà alcun cambiamento demografico qui – perché lo Stato è stato a lungo binazionale – ma solo un cambiamento democratico e consapevole. E allora si porrà la questione in tutta la sua forza: perché è così terribile vivere in uno Stato egualitario? In realtà  tutte le altre possibilità sono molto più terribili.

(Traduzione di Amedeo Rossi e Carlo Tagliacozzo)

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1 commento

  1. Leggo:
    “Questa nazione è ebraica e sionista, ma non democratica per tutti”.
    E commento:
    Gideon è pur sempre un “ebreo” e un “israeliano”, anche se non fanaticamente ottuso come tanti altri, ma resta pur sempre un “ebreo israeliano” che non trae tutte le conseguenze da una realtà che gli è pur chiara e che egli stesso ammette.

    Qui non si tratta di chiedere e pretendere che Israele diventi uno stato “democratico”. Non lo è mai stato e non lo sarà mai. E cosa significa del resto il termine “democratico”? Anche una banda di briganti potrebbe darsi una organizzazione “democratica” nel senso che può scegliersi il capo brigante e nei momenti decisivi procedere per votazione di maggioranza, oltre che rispettare le regole nella spartizione del bottino e nei comportamenti verso gli esterni alla banda, che possono o devono venire uccisi.

    Forse è meglio abbandonare la parola “democrazia” e andare a vedere la sostanza delle cose, che può essere assai diversa da caso a caso. E proprio per questo sarebbe saggio non usare lo stesso nome per cose assai diverse, a meno che non si vogliano deliberatemente intorbidare le acque.

    Si dice che la matematica non sia un’opinione e che i numeri non possono essere confutati.

    Io ho citato altre volte il dato del 3,5% che era la consistenza della popolazione ebraica ORIGINARIA esistente nel 1861. Dal 1882 incomincia la prima immigrazione “sionista”, cioè nutrita di una ideologia che è quella che è. Si hanno poi le vicende connesse alla Dichiarazione Balfour, che è un’immensa porcata sulla quale non creda occorra diffondersi. E poi arriviamo alla grande “pulizia etnica” del 1948, da ultimo narrata da un altro ebreo israeliano, Ilan Pappe, di cui anche in questo sito si legge una Intervista dove si sostiene che la “pulizia etnica” del 1948 continua anche oggi. Quello che dice Pappe era noto a ogni bambino palestinese. La cosa cambia perchè adesso a dirlo è un “ebreo israeliano”, come è anche “ebreo israeliano” l’autore di questo articolo che io commento, Gideon Levy, uno dei più progressisti e illuminati, ai quali però non si può chiedere di superare se stessi.

    Abbiamo dunque nel corso di oltre un secolo una popolazione assai eterogenea di “immigrati” che letteramente “cacciano” i residenti, i palestinesi che sono i più diretti discendenti della stessa popolazione che abitava la Palestina al tempo dei romani. E se non loro chi altri mai? I Kazari venuti dalla Crimea?

    L’assurdo che cozza contro ogni logica e ogni diritto è la pretesa di NON lasciar ritornare i 750.000 palestinesi che furono espulsi e cacciato nel 1948, ma al tempo stesso si riconosce il diritto al ritorno chiavi in mano ad ogni sedicente appartente a un sedidente “popolo ebraico”, che cambia passaporto con la stessa facilità con cui altri cambiano la loro camicia.

    Questo stato di cose è purtroppo avallato dal contesto internazionale, soprattutto dal sostegno degli Stati Uniti e dai loro Clienti e Vassalli europei. Il “marcio” non è tanto nello stato “protetto” di Israele, quanto nei suoi potenti protettori: prima l’Impero inglese, ora l’Impero americano, o come altri dicono Usraeliano, e nei vassalli europei che non meritano nessun rispetto e considerazione. Di dignità non ne hanno più una briciola, ma pretendono di parlare della “dignità dei morti” e su questa base toglere dignità ai vivi, mandandoli in galera, alla fame, alla morte.

    Qui siamo in presenza di un vero e proprio stato “criminale”, che andrebbe smantellato dalla stessa comunità internazionale che lo ha creato. È un passo necessario per poter ristabilire il rispetto del diritto internazionale che dovrebbe essere alla base delle relazioni fra i popoli organizzati in Stato, sempre che ancora esistano degli stati. Non è una battuta. L’ideologica neocon punta a un mondo dove la sola legge che conta è le volontà dell’Impero americano. Lo stato di Israele è una ricaduta. Le ragioni ideologico-religiose-archeologiche sono frottole a cui non crede nessuna persona seriamente informata. Le appartenenze identitarie, o meglio ciò che si dichiara di essere, sono una copertura di interessi assai materiali e finoscono comunque per assumere vistose connotazioni “razziste” quando si reclamano risarcimenti dal “razzismo” altrui.

    E dunque?

    La soluzione non può essere data dal Terzo, che può essere interessato solo alle ragioni di una Giustizia che si spera venga riconosciuta come base delle relazioni umane. Se a Gerusalemme cade l’idea di Giustiza, gli uomini apprendono che nelle loro cose si dovranno saper regolare di conseguenza perché per i deboli (e fessi) non vi sarà scampo. Chi può correrà alle armi, armi che devono essere più potenti e micidiali di quelle del proprio nemico. Il futuro ci riserverà la Morte Globale, se è verò che gli arsenali atomici ammassati nei depositi possono distruggere la terra non una sola volta, ma settanta volte. In pratica, il pianeta terra è destinato – grazie a Gerusalemme – a trasformarsi in una massa di meteoriti esplosi nello spazio.

    La soluzione è forse nelle mani dei palestinesi non in quanto debbano riconoscere lo “stato ebraico”, e cioè la legittimità della propria condizione di vittima sacrificale e il riconoscimento del diritto del loro carnefice. Abu Mazen non si distingtue molto da un Quisling e i trattati di Oslo furono una truffa che non pose fine alla Ingiustizia, ma se mai l’aggravò.

    Ghada Karmi, profuga del 1948, da palestinese indica come Unica solizione la creazione di uno Stato Unico dove in una stessa terra vivano tutti quelli che intendono starci, senza altre distinzioni di sorta. Ma in effetti sarebbe la fine del “sionismo” fondato sulla pretesa di cacciare e dominare l’altro. Si badi: non solo in Palestina (mi ostino a chiamarla così) ma nel mondo intero, giacché credo che abbia ragione Gilad Atzmon, quando spiega che il sionismo non è una forma di “colonialismo” – come si ostinano a credere e voler far credere i sostenitori paleocomunistico del movimento di resistenza palestinese – ma una forma di “dominio globale” ai quali siamo soggetti anche noi in Italia, dove non credo che sia stata studiata la «Israel lobby», come Meareshemeir e Walt hanno fatto pe rgli USA, pur con le cautele imposte dall’esistenza di una potentissima e pericolissima Lobby di cui non si può parlare e che ama agire nell’ombra.

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