Alternativenews.org 04.01.2012
Una lettera per Gaza dalla freedom Flotilla della scorsa estate (foto: Mya Guarnieri)
di Michael Warschawski
Per il momento le rivoluzioni arabe hanno emarginato la questione palestinese. Per la prima volta in oltre mezzo secolo, l’agenda del mondo arabo – sia quella dei governi che quella dei popoli – non è determinata dal conflitto israelo-palestinese, ma dalle difficoltà sociali e politiche che si trovano ad affrontare: la povertà, lo sviluppo economico e la democrazia. E quando la questione palestinese viene emarginata, la Striscia di Gaza viene sospinta al margine dei margini.
Il vecchio complotto israelo-americano di separare Gaza dalla West Bank è riuscito, sia sul piano sociale che su quello politico. Nella West Bank c’è una ripartizione del lavoro tra il controllo militare israeliano e l’amministrazione palestinese, e una divisione territoriale tra le aree delle colonie (che comprendono il 50% della West Bank) e le città palestinesi parzialmente autonome; a Gaza, invece, il regime militare israeliano sembra che se ne sia andato. Tuttavia, l’occupazione israeliana non è cessata, non lo permettono lo spazio per un territorio liberato – ha peggiorato solo una situazione già disperata: 1,5 milioni di persone, tra cui donne e bambini, per circa sei anni sono state sottoposte a un assedio che si è intensificato, trasformando Gaza in quella che è stata giustamente chiamata un campo di concentramento di massa. Non c’è possibilità alcuna di ingresso né di uscita ad eccezione dei casi “umanitari”, così come non possono svilupparsi legami commerciali.
E’ vero che a seguito della rivoluzione di primavera in Egitto, si è formata una piccola crepa nel blocco. Il confine con l’Egitto non è più chiuso ermeticamente. Ma siamo ancora lontani dalla fine dell’assedio e neppure più vicini alla realizzazione dell’impegno esplicito di Israele per un “passaggio sicuro” tra la West Bank e la Striscia di Gaza.
Ma l’Autorità Palestinese non sembra essere eccessivamente addolorata da tale separazione e si è dimostrata capace di scrollarsi di dosso la responsabilità del destino degli abitanti di Gaza, una maggioranza dei quali non sono grandi sostenitori del Presidente dell’AP, Mahmoud Abbas, e del suo Primo Ministro Salam Fayyad. Sembra inoltre che la leadership di Hamas, a Gaza, speri di apparire come un governo funzionante e, nel periodo di tempo che precede le elezioni, si mostra all’altezza di essere in grado di vincerle. Hamas sta pure cercando di essere inserito indirettamente in qualsiasi futuro negoziato politico con lo stato di Israele.
Tuttavia, in seguito alle politiche israeliane di rifiuto nei confronti dei negoziati con i palestinesi, è altamente improbabile che si giunga a trattative significative, e il crudele assedio di Gaza si trascinerà per le lunghe. Questo fatto, e non le sterili manovre diplomatiche dell’AP alle Nazioni Unite, deve determinare l’agenda del movimento di solidarietà mondiale. Si deve ottenere che la striscia di Gaza e suoi abitanti riescano a liberarsi dalla marginalità in cui sono stati sospinti intenzionalmente non solo dai governi israeliani, anche dai capi dell’Autorità Palestinese.
L’accordo tra Hamas e Fatah, mediato dall’Egitto, offre un barlume di speranza e probabilmente aiuterà a ricucire la frattura tra Gaza, la West Bank e le varie fazioni del movimento nazionale palestinese. Israele farà tutto quanto in suo potere per sabotare questo accordo, tra le altre tattiche, incrementando il bombardamento di Gaza e forse dando perfino inizio ad un attacco militare generale, simile all’Operazione Piombo Fuso del 2008-2009. Tuttavia, la sfida alla quale devono far fronte i palestinesi non consiste nella fermezza degli abitanti della Striscia di Gaza, che hanno dimostrato di poter affrontare qualsiasi cosa Israele lanci contro di loro, ma nella capacità dell’AP della West Bank di resistere alla pressione internazionale che cercherà di porre fine all’accordo di riconciliazione.
Tutto il mondo arabo, in milioni hanno manifestato sotto lo slogan “vattene”. Giovani palestinesi, donne e uomini di Ramallah, Bethlehem e della Striscia di Gaza, hanno manifestato sotto lo slogan “unitevi”. Questo grido dovrebbe guidare la leadership palestinese e le sue diverse fazioni.
(tradotto da mariano mingarelli)
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