E’ la loro terra, posseggono uliveti da generazioni e da sempre producono l’«oro giallo», l’olio fonte di reddito per migliaia di famiglie. Eppure i contadini palestinesi ogni anno vanno alla raccolta delle olive come fosse una guerra, sotto la minaccia dei coloni israeliani
MICHELE GIORGIO, CON GRUPPO DI ACCOMPAGNAMENTO INTERNAZIONALE “RACCOGLIENDO LA PACE”
Roma, 23 ottobre 2011, Nena News – «I comandi militari israeliani non ci danno abbastanza tempo per la raccolta delle olive. Tre giorni in questa zona, altri tre in un’altra. Altrimenti, ci fanno capire, non ci sarà nessuno a frenare i coloni israeliani». Non è il Far West ma poco ci manca quello che descrive Mahmud Zawahra, del Comitato popolare di Maasra. «Qui la situazione è tesa – aggiunge – ma non come nella zona di Nablus dove ci sono i coloni più estremisti».
E’ la loro terra, posseggono uliveti da generazioni e da sempre producono l’«oro giallo», l’olio fonte di reddito per migliaia di famiglie. Eppure i contadini palestinesi ogni anno vanno alla raccolta delle olive come fosse una guerra. Rischiano grosso quelli che hanno i terreni a poche decine di metri dalle colonie, dove la sicurezza privata degli insediamenti impone una sorta di zona interdetta. I soldati mettono fine agli scontri tra coloni e contadini sempre allo stesso modo: mandando a casa i palestinesi, anche se la raccolta non è terminata.
I costi economici per questo settore dell’agricoltura palestinese sono alti. Quest’anno, ha calcolato l’ong internazionale Oxfam, i produttori di olive e olio hanno perduto mezzo milione di dollari soltanto dalla distruzione degli alberi da parte dei coloni. «Bruciare un albero d’olivo è come dare fuoco al conto corrente di un contadino», ha spiegato il direttore di Oxfam, Jeremy Hobbs, «circa 100mila famiglie palestinesi dipendono da quanto riescono a guadagnare dalla raccolta». Soltanto a settembre sono stati bruciati o tagliati 2.500 ulivi, almeno 7.500 dall’inizio dell’anno. E raramente i coloni vengono arrestati per questo tipo di attacchi. L’ong israeliana Yesh Din riferisce che in tutti i casi di distruzione di olivi che ha seguito dal 2005 al 2010 nessuno dei sospetti è mai stato portato in giudizio.
Anche le aggressioni fisiche sono all’ordine del giorno. Da quando è cominciata la raccolta, 20 giorni fa, si sono registrati attacchi in diversi punti della Cisgiordania. I settler dell’insediamento di Itamar, armati di bastoni e pietre, hanno aggredito i contadini impegnati nella raccolta sul terreno di proprietà alla famiglia Awwad, coinvolta nei mesi scorsi nella strage dei Fogel, una famiglia di coloni. Tentativi di aggressione si registrano da giorni a Burin, Qusra, Qaryut, Beit Furiq, Iraq Burin, Huwwara, Essawiya. Il villaggio più a rischio è Burin, i cui alberi arrivano sulle colline vicine alle recinzioni della colonia di Yitzhar. Per garantire una difesa passiva ai contadini palestinesi, si stanno intensificando le presenze internazionali nei Territori occupati. Decine di volontari che arrivano da ogni parte del mondo, soprattutto da Italia e Francia.
Fino al 9 novembre, un gruppo di 14 volontari italiani sarà accanto ai contadini di Maasra e Iraq Burin nel quadro di una iniziativa promossa dal «Servizio civile internazionale», dall’«Associazione per la pace» e «Un ponte per…», in collaborazione con il coordinamento «Ci rifiutiamo di morire in silenzio» che riunisce i comitati popolari palestinesi. Insieme all’ex presidente dell’europarlamento Luisa Morgantini l’altro giorno ne abbiamo incontrati cinque nelle campagne a sud di Betlemme, vicino al blocco colonico di Etzion. Massimiliano, Simone, Mariella, Dario e Laura ci hanno riferito di una «importante esperienza politica e umana» fatta in questi giorni contribuendo alla raccolta delle olive e ponendosi a protezione dei contadini. «Proviamo anche a parlare ai soldati – ha detto Massimiliano -, cerchiamo di spiegare loro che occupano la terra di un altro popolo e negano ai palestinesi una esistenza libera e dignitosa». Un tentativo di dialogo che ha avuto risultati scarsi. Nena News
questo articolo e’ stato pubblicato il 23 ottobre 2011 dal quotidiano Il Manifesto
NENA NEWS pubblica a corredo dell’articolo il resoconto gruppo di accompagnamento internazionale alla raccolta delle olive in Palestina della manifestazione di venerdi’ scorso a Maasra contro l’occupazione, il muro di separazione, la confisca delle terre e gli attacchi ai contadini palestinesi.

Al Ma’sara – Betlemme, 21 ottobre 2011
In occasione del quinto anniversario delle manifestazioni del Venerdì nel villaggio di Al Ma’sara, il Popular Struggle Coordination Commitee (PSCC) del villaggio ha organizzato un grande evento per celebrare la ricorrenza, come sempre dopo la preghiera di mezzogiorno.
Circa 150 persone hanno preso parte all’iniziativa marciando attraverso Al Ma’sara e Jurat ash Sham’a in direzione della strada 3157, la junction road che collega l’insediamento di Efrat e quello di Noqdim – noto per ospitare la residenza del ministro degli esteri israeliano Avigdor Lieberman.
Tra i partecipanti c’erano diversi gruppi di internazionali provenienti da Francia, Norvegia, Italia e Spagna ed una consistente presenza di attivisti israeliani. Anche Luisa Morgantini ha preso direttamente parte all’iniziativa in piena solidarietà con i comitati organizzatori e le motivazioni dell’evento.
Il corteo, colorato da striscioni e bandiere palestinesi, è riuscito a raggiungere la strada principale ed ha proseguito il suo percorso intonando slogan e canti di protesta.
In un primo momento il numero di partecipanti ha colto impreparati i soldati israeliani, che hanno risposto al movimento della folla ricorrendo alla violenza contro le prime linee del corteo: manganelli, spintoni e cariche per respingere la gente verso l’entrata del villaggio.
Quando la situazione si è stabilizzata la manifestazione è proseguita con le dichiarazioni pubbliche degli organizzatori, la musica di un gruppo di percussionisti israeliani da Gerusalemme e l’intervento inatteso e coinvolgente del gruppo italiano: due pentole colme di pasta sono arrivate al centro del gruppo di manifestanti, proprio di fronte ai militari. Piatti di pasta sono stati distribuiti a tutti i presenti che ne hanno apprezzato il significato ed il gusto. Il passo successivo è stato offrirne direttamente ai soldati. Decisamente spiazzati dall’iniziativa questi hanno rifiutano goffamente l’offerta: tra gli sguardi sbigottiti qualcuno rideva di fronte alle mani tese, qualcuno rimaneva impassibile, si voltava, abbozzava un timido “non posso”.
La manifestazione è terminata in modo pacifico, l’atmosfera rilassata, i partecipanti tornati lentamente nel villaggio di Al Ma’sara.
Nel 2010 Amos Gilad, generale di stato maggiore dell’esercito israeliano, ha affermato “we don’t deal well with Gandhi”. Si è visto. Nena News
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