Colonizzare e resistere

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Rachel fissava la cabina della ruspa e cercava gli occhi di quell’uomo che, pur vedendola in piedi, visibilissima nella sua giacca fluorescente arancione, sceglieva di non fermare i motori del bulldozer che avanzava implacabile verso di lei, con la sua enorme lama. Le grida di Rachel e degli altri pacifisti salivano al cielo come una supplica: fermatevi! Ma invece di fermarsi, la macchina è passata con tutta la sua potenza distruttrice sul fragile corpo della ventitreenne americana. E poi è tornata indietro investendola nuovamente.
Era il 16 marzo 2003. E ricordarlo 8 anni dopo per noi significa ricordare che quella ruspa israeliana da allora non si è più fermata. Né quella mattina né in tutti questi lunghi anni. Il bulldozer dell’occupazione militare ha continuato a schiacciare il popolo palestinese con il blocco del movimento e della vita, abbattendo con la pala del muro di apartheid migliaia di coltivazioni. E come quella ruspa ha continuato imperterrita la sua marcia assassina, così la colonizzazione non si è mai fermata. L’autista -un governo ultraconservatore come mai si era visto prima- sapendo che al di là delle grida delle vittime nessuna comunità internazionale si sarebbe permessa di criticarlo, ha in questi ultimi anni premuto sull’acceleratore per depalestinizzare la città di Gerusalemme. E se fosse ad un certo punto mancato il rifornimento a questa macchina di morte? Ma tutti sanno che il mondo non farà mancare per nessun motivo il suo appoggio incondizionato ad Israele giustificandone i più efferati crimini, e chi si permetterà di boicottare le merci prodotte nelle colonie sarà ovviamente antisemita.

Ecco, sono proprio le colonie la chiave per comprendere tutta questa lunga storia di ingiustizie e di violenze.
Dal 1967 ogni governo israeliano, di destra o di sinistra, ha continuato a sottrarre la terra ai legittimi proprietari palestinesi bloccando così ogni tentativo di far avanzare il processo di pace e nella crescita “naturale” degli insediamenti ha giocato tutte le carte possibili.
Perfino di fronte ad un massacro come quello che ha distrutto un’intera famiglia di coloni, in questi giorni Israele, certamente non placata dalle immediate condanne delle diverse realtà palestinesi, ha immediatamente approfittato del deprecabile e assurdo avvenimento e solo poche ore dopo l’aggressione, direttamente dall’ufficio del primo ministro Netanyahu è venuta la decisione: approviamo un piano per l’espansione delle colonie di Etzion, Ma’ale Adumin, Ariel e Kiryat Safer: 500 nuove abitazioni destinate ai coloni, in quegli insediamenti che Israele ha sempre detto chiaramente e ribadito con forza, anche all’amministrazione statunitense, che manterrà sotto il proprio controllo in qualsiasi eventuale accordo con i palestinesi. Per capirci: sono e resteranno parte di Israele.
E’ chiaro e va ribadito che “nessuna azione di resistenza può uccidere bambini. Non solo perchè è illegale, ma perchè non è umano. Il risultato di questa azione può portare solo maggiore violenza e non certamente la libertà a cui ha diritto il popolo palestinese”(Assopace, Italia).
Ma la strumentalizzazione colpisce chiunque e spinge il ministro dell’interno ad “alzare il prezzo”: per un massacro così non sono sufficienti 500 case. Eli Yishai, ha chiesto di costruire “un migliaio di appartamenti per ogni bambino”. Per fortuna un giornalista israeliano ha interrotto l’incredibile “contropartita” e di fronte a chi vuole ricavarne il massimo vantaggio ha scritto: “è veramente disgustosa la nostra abilità nello strumentalizzare il massacro di Itamar” (Yossi Gurvitz).

D’altra parte, per “informare bene” sul massacro, i siti italiani come Viva Israele e Informazione Corretta, hanno pensato di non spiegare che Itamar è una colonia illegale di ultranazionalisti che hanno rubato la terra agli abitanti di Nablus e da anni li soffocano e li minacciano con continue aggressioni. Così l’insediamento di Itamar diventa per questi siti “un villaggio ebraico” e -addirittura capovolgendo la realtà- “un paese israeliano circondato da villaggi palestinesi”!

La maggior parte dei commentatori ha naturalmente sottolineato che, se anche un governo responsabile dell’oppressione di tre milioni di palestinesi dimostra la sua follia, non saranno mai abbastanza le parole di sconcerto, orrore e condanna per questo tragico fatto di sangue. Uccidere ed eliminare l’altro non sarà mai la strada per ottenere giustizia.
Per questo da tempo il popolo palestinese, che subisce ogni giorno attacchi omicidi a Gaza come in Cisgiordania, ha intrapreso con forza la strada della resistenza nonviolenta e anche in queste ore scende in piazza per non soccombere nemmeno alla violenza più subdola e interna che ha portato alla divisione dello stesso popolo.
Oggi, 15 marzo 2011, in Palestina e in tutto il mondo, i palestinesi promuovo la “Giornata della Riconciliazione”, nell’intento di superare le fratture interne per lottare uniti contro l’occupazione:

“In nome del popolo arabo palestinese, dei martiri, delle vedove, degli orfani e dei familiari di quanti sono morti, delle migliaia di prigionieri nelle carceri israeliane e di tutti i palestinesi della diaspora, chiediamo a tutte le fazioni politiche di unirsi sotto la bandiera della Palestina per una riforma del sistema politico palestinese che si basi sugli interessi e le aspirazioni del popolo palestinese tutto, sia quello che vive in terra di Palestina che i profughi. Il grave momento attuale che vede le continue incursioni di coloni israeliani, la sottrazione continua di terra palestinese nella città sacra di Gerusalemme e il perdurare del feroce assedio di Gaza ci obbliga ad essere ancora più uniti contro la brutale occupazione israeliana”. (dal Documento della Giornata della Riconciliazione)

Uniti per sopravvivere: “End the division!”. E poi quella parola impegnativa di “riconciliazione” che individua all’interno dello stesso corpo la malattia che compromette la salvezza della Palestina.

A noi, che di fronte alle rivoluzioni arabe non ci siamo lasciati frenare dai commentatori che volevano farci vedere solo pericoli integralisti e minacce all’instabilità, è chiesta anche ora la più grande solidarietà per questi giovani coraggiosi che non andranno lasciati soli. Solo così il loro sogno potrà realizzare la più agognata speranza di una Palestina libera:

“Noi siamo giovani che vogliono lavorare per il popolo, noi denunciamo la miseria in cui viviamo, che ci spinge a denunciare la divisione delle fazioni, e di rifiutare la loro lotta, perché non ci stanno aiutando. Ma più di Fatah e Hamas, che sono palestinesi come noi, soprattutto, noi denunciamo l’occupante e il suo burattino, la comunità internazionale che non riesce, giorno dopo giorno, a compiere il suo dovere di imporre sanzioni a Israele.
Il nostro appello è un appello alla solidarietà, un invito ad agire pacificamente; ci teniamo tutti per mano e vi aspettiamo per completare il legame. Aiutateci a lavorare per una soluzione migliore, Aiutateci a farlo!”

BoccheScucite

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