Articolo pubblicato originariamente su Mondoweiss e tradotto dall’inglese da Beniamino Rocchetto
Alia, un’aspirante giovane scrittrice che il caso vuole sia nata a Gaza, si chiede se rimarrebbe qualcosa in lei se tutto il suo dolore dovesse scomparire. Ma lei crede ancora che ci sia della bellezza dietro. La sua voce deve sovrastare il rumore delle bombe.
Di Iris Keltz e Alia Kassab

Alia ha 22 anni e ha vissuto tutta la sua vita sotto l’Occupazione Militare Israeliana. Studia Letteratura Inglese all’Università Islamica di Gaza. Prima della sua istituzione nel 1978, i diplomati delle scuole superiori palestinesi dovevano studiare all’estero, principalmente in Egitto e Giordania. Dal 1967, l’Occupazione israeliana di Gaza e della Cisgiordania ha limitato il movimento studentesco, ispirando anziani e leader locali a istituire istituti di istruzione superiore nei Territori Occupati. Alia sogna di diventare una scrittrice, ed è già dannatamente brava, in inglese, la sua seconda lingua. Siamo stati presentati virtualmente nel febbraio 2023 da WeAreNotNumbers.org (Non Siamo Numeri). Con il permesso di Alia, condivido estratti dai nostri scambi WhatsApp tra Gaza e la Florida.
Istituire e rompere il cessate il fuoco è quello che titolano i giornali. Ma dietro i titoli ci sono le persone. Il giornale israeliano Haaretz sostiene che è stata una notte relativamente tranquilla a Gaza. Ma io so la verità. I titoli dicono anche che Israele ha assassinato tre comandanti dello Jihad Islamico in attacchi aerei notturni. Ma come potevano i piloti di caccia essere sicuri che non stavano uccidendo il padre di qualcuno che dormiva con la sua famiglia? Il Ministro della Difesa israeliano minaccia: “Siamo pronti per qualsiasi scenario, inclusa una campagna prolungata.” Netanyahu si vanta: “Sceglieremo il tempo e il luogo per colpire i nostri nemici”. Alia vuole sapere: sarà prima o dopo la lezione universitaria? Le scuole nelle comunità di confine israeliane sono state chiuse. Anche le scuole a Gaza sono state chiuse, ma questo non era sul giornale.
2 maggio. “Ora ci stanno bombardando. La mia rabbia mi impedisce di avere paura. Cosa sarei senza la mia rabbia? Se il mio dolore fosse cancellato, cosa rimarrebbe? Continuo a pensare al mondo. La gente sa quanto lottiamo per sopravvivere?”
3 maggio. “I bombardamenti si sono fermati per ora. Sono a casa con la mia famiglia. Sto bene. Non ho paura. Sono solo stanca. Depressione e saggezza si sovrappongono. Non so se la Palestina sarà mai libera. Forse lo spargimento di sangue è inevitabile anche se ingiustificabile. Ma perché ci deve essere sempre un sacrificio? Perché qualcuno deve sempre essere lasciato indietro? Le guerre ci separano dal nostro istinto di procreare. Possiamo fermare il trauma generazionale semplicemente smettendo di riprodurci. Non so perché gli umani si ostinino a procreare quando sanno quanto può essere dolorosa la vita. Ma cosa c’è di più speranzoso che mettere al mondo una nuova vita? Dicono che la vita è un dono, ma solo dire quelle parole non è sufficiente”.
“A volte non posso accettare come Dio ha fatto questo mondo. Nelle mie preghiere, chiedo: ‘Ci stai dando il libero arbitrio?’ So che Dio ci ha plasmati diversamente. Ma proviamo gli stessi sentimenti e abbiamo gli stessi sogni. Più cerco risposte, più mi faccio domande. E se tutto fosse stato cancellato? Ponendo fine alla nostra specie, potremmo fermare questo trauma generazionale. Sarebbe un’eutanasia pietosa”.
“Paragono la rabbia di Eren alla mia. (Eren Jaeger è l’eroe e il cattivo di una serie immaginaria creata da Hajime Isayama.) Incapace di accettare come gli umani siano imperfetti, decide rabbiosamente di distruggere il mondo. Ma io non sono Eren. Non voglio essere un eroe o un cattivo. Voglio essere umana. Non voglio distruggere nulla. Sono già a pezzi.
Le scrivo prima di andare a dormire. “Le bombe si sono fermate? Tu e la tua famiglia siete al sicuro?” Le scrivo quando mi sveglio e le faccio sempre la stessa domanda. Finora, la stessa risposta.
4 maggio. “La mia famiglia è al sicuro! Nessun bombardamento oggi”.
9 maggio. “Sta accadendo di nuovo. Un vantaggio di vivere in un Paese occupato è la quantità di tempo che si spende a riflettere. Dicono che l’autoconsapevolezza è la chiave per comprendere la propria esistenza. Ma è anche una maledizione”.
“Mi sono svegliata alle 8 del mattino. Temevo di aver perso la mia lezione. Mia sorella mi ha detto di non preoccuparmi. Israele ci sta bombardando di nuovo. Niente scuola. Niente lavoro. Avevo voglia di vomitare. Stavo per finire di leggere The Waste Land (Terra Desolata), lavare i piatti, chiamare il mio amico Basma e leggere ai miei fratelli. Non ho fatto nulla di ciò. Ho iniziato a scrivere. Non ho studiato abbastanza psicologia per capire perché gli esseri umani sono così crudeli. Ogni giorno mi dice qualcosa sul lato oscuro dell’Umanità. Non so perché continuiamo a riprodurci”.
“Ricordo la mia prima guerra. Era il 2008. Avevo sette anni e vivevo in Giordania con mia nonna. L’unica cosa che sapevo di Gaza era che è lì che sono nata. Guardavo il telegiornale con la nonna. Continuavo a chiedere: Perché picchiano questa donna? Perché gli aizzano contro un cane? Mia nonna mi disse di uscire a giocare. Non puoi capire. Sei solo una bambina. Ma non riuscivo a smettere di piangere. Adesso ho 22 anni e ancora non capisco”.
“La mia famiglia è tornata a Gaza l’anno successivo. Nel 2012 ho vissuto la mia prima guerra. Mio padre contava i martiri in televisione, ma io mi distaccavo da quello che stava accadendo. Mi sentivo frastornata. Il trauma ci colpisce in modo diverso”.
“Nel 2014 c’è stata un’altra guerra. Tutta la famiglia dormiva nella sala da pranzo. Avevo 13 anni e tenevo stretto uno dei miei giocattoli. Non avevo paura di morire. Ho pensato, se moriamo, moriamo insieme. Nessuno dovrà piangere. Alla fine della guerra la gente pubblicava post sui traumi. Gli psicologi dicono che tutti abbiamo il disturbo da stress post-traumatico. E allora? Non mi parlino di guerra. Sono stremata. Anni dopo, mi sono resa conto che il mio trauma mi rendeva abbastanza egoista da sentirmi felice perché la mia famiglia non aveva subito nessun danno. Non ricordo quando sono cambiata. Ora mi interessa quante persone vengono uccise. Mi metto a piangere quando contano i martiri.
10 maggio. È doloroso come gli umani continuino a infliggersi lo stesso dolore a vicenda. Sono una persona spirituale, ma la guerra mi ha fatto dubitare dell’esistenza di Dio. I bombardamenti non si sono fermati. Per favore, non preoccuparti per me. Sai che sono forte. Un giorno viaggerò per vederti. A volte vorrei che tu fossi mia nonna. Abbracci.
12 maggio. Non ho sentito Alia né ieri né oggi. Ho pregato per la sua sicurezza mentre le scrivevo. “Vorrei essere la tua nonna fatata che ha il potere di porre magicamente fine alla sofferenza di questa terrificante e disumana Occupazione”.
13 maggio. Un cessate il fuoco tra Israele e Hamas annunciato sabato, è arrivato giusto in tempo per la festa della mamma negli Stati Uniti. Mi chiedo quanto durerà?
15 maggio. Israele celebra il 75° anniversario della sua indipendenza. Ma questa è la prima volta che la Nakba palestinese in corso viene commemorata alle Nazioni Unite, al Congresso degli Stati Uniti e in tutto il mondo. La verità della storia viene finalmente riconosciuta: la creazione di Israele nel 1948 creò una Catastrofe per oltre 700.000 palestinesi costretti a lasciare le loro case e villaggi dalle milizie sioniste. In violazione del diritto internazionale, ai rifugiati non è mai stato permesso di tornare. Milioni di loro discendenti ora vivono a Gaza e conservano la chiave delle proprietà rubate. Le bombe che piovono sui due milioni di palestinesi rinchiusi nella Striscia di Gaza sono state fabbricate da Boeing e Lockheed Martin. Siamo responsabili. Sebbene le leggi statunitensi vietino l’uso degli aiuti per violare i diritti umani, Israele continua a ricevere quattro miliardi di dollari (3,7 miliardi di euro) all’anno con poca o nessuna supervisione.
Alia, un’aspirante giovane scrittrice nata a Gaza, non è il nemico. Il suo diario mi ricorda Anne Frank, una ragazza ebrea di origine tedesca che ha anche lei tenuto un diario mentre viveva sotto un Olocausto di orrore inimmaginabile. Essendo cresciuto come ebreo, il diario di Anne mi ha colpito molto. In qualche modo entrambe queste fantastiche giovani donne sono riuscite ad aggrapparsi alla speranza.
Anne Frank ha scritto: “Mi chiedo se non ho abbandonato tutti i miei ideali, perché sembrano assurdi e impossibili da realizzare. Eppure, li conservo, perché nonostante tutto, credo ancora che le persone siano davvero buone di cuore”.
Alia Kassab ha scritto: “Posso essere coraggiosa e pessimista allo stesso tempo? Ho deciso di dedicare la mia vita a comprendere la saggezza del vivere. Voglio capire la bellezza dietro il dolore e come le rose crescono dal sangue. Voglio credere che il bisogno di vendetta scomparirà. Mettere al mondo un figlio è un atto egoista. Ma avere il coraggio di mettere al mondo una nuova vita è la cosa più speranzosa che possiamo fare. Voglio avere figli come affermazione di vita, non come atto di Resistenza”.
Alia Kassab è una scrittrice esordiente di ventidue anni nata a Gaza. Dopo il divorzio dei suoi genitori, ha vissuto quattro anni con la famiglia in Giordania. Frequenta l’Università Islamica di Gaza dove studia letteratura inglese. Attualmente lavora come traduttrice. Alia sogna di viaggiare e di diventare una scrittrice affermata.
Iris Keltz è autore di Unexpected Bride in the Promised Land: My Journey in Palestine and Israel (Sposa Inaspettata Nella Terra Promessa: Il Mio Viaggio in Palestina e Israele – Nighthawk Press), Taos, New Mexico, data di pubblicazione maggio 2017 e Scrapbook of a Taos Hippie: Tribal Tales from the Heart of a Cultural Revolution (Album di un Taos Hippie: Racconti Tribali dal Cuore di una Rivoluzione Culturale – Cinco Puntos Press, TX, 2000).
Fonte: https://mondoweiss.net/2023/05/how-roses-grow-from-blood/
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