A Beirut spetterebbe una fetta del giacimento Leviathan ma fa fatica a trovare una propria strategia energetica. A causa del conflitto con Israele e della sua composizione politica interna.
GIORGIA GRIFONI
Roma, 23 dicembre 2011, Nena-News. E così, anche Afrodite contiene moltissimo gas fossile. Secondo quanto rivelato ieri dal quotidiano cipriota Politis, il giacimento in questione –circa 60 km a sud di Cipro- sarebbe uguale o più grande del Leviathan, trovato dalla compagnia Noble lo scorso giugno a 130 km nord-ovest dalla città di Haifa. Israele, che si è accaparrato lo sfruttamento del Leviathan nonostante parte del bacino si trovi in acque libanesi e siriane, conta di assicurarsi l’autonomia energetica per almeno 20 anni. Altrettanto farà Cipro che, oltre a escludere dallo sfruttamento la repubblica di Cipro Nord e la Turchia, pianifica di esportare il suo tesoro verso i mercati europei. Resta indietro il Libano, cui in teoria spetterebbe una fetta di Leviathan, ma che in realtà fa fatica a trovare una propria strategia energetica. Colpa delle sue relazioni con Israele, ma anche della sua composizione interna.
Alla scoperta, nel 2009, di un possibile enorme giacimento di gas compreso tra Cipro e Israele, i due paesi hanno delimitato bilateralmente i rispettivi confini marittimi con relative zone economiche esclusive (ZEE). All’epoca, gli occhi erano puntati sul “quadrante 12”, chiamato poeticamente Afrodite, nella ZEE cipriota: lì la texana Noble Energy aveva avviato le sue prospezioni. Nel frattempo la Noble, in partnership con le compagnie israeliane Delek Energy e Avner Oil Exploration, aveva scoperto due grandi giacimenti di gas fossile a nord-ovest delle coste Israeliane: Dalit e Tamar, cui si è aggiunto il 3 giugno scorso il ricchissimo deposito di Leviathan, che conterrebbe dai 17 ai 20 trilioni di metri cubi di gas. Trovandosi al centro delle acque extraterritoriali di più paesi, Tel Aviv e Nicosia si erano organizzate per lo sfruttamento e l’estrazione. Beirut e Damasco, invece, non sono state invitate a spartirsi la torta.
Ufficialmente ancora in guerra, Libano e Israele fanno ancora fatica a delimitare i confini terrestri senza che si aggiungano quelli marittimi. Secondo una dubbia linea tracciata da Tel Aviv, Leviathan si troverebbe nella zona esclusiva israeliana. Per Beirut, invece, la linea corre troppo a nord di Haifa, inglobando un tratto di mare che si trova davanti alla città libanese di Tiro. La questione è finita sul tavolo delle Nazioni Unite, con grande preoccupazione di Ban Ki Moon per un potenziale conflitto tra i due vicini per la spartizione delle risorse. Il Libano accusa Israele di rubare gli idrocarburi in comune, mentre Tel Aviv punta il dito contro Beirut per i rimaneggiamenti di presunti confini marittimi stabiliti nel 2007. La convenzione delle Nazioni Unite sulla legislazione marittima (UNCLOS) garantisce ad ogni stato il diritto di condurre attività fino a 200 miglia nautiche (370 km) dalle proprie coste. Le cose si complicano però quando lo spazio è piccolo, come nel caso del bacino del Mediterraneo orientale, e quindi quando le Zee sconfinano nelle acque territoriali o si intersecano fra loro. Se si aggiunge anche che Israele non ha firmato la convenzione (mentre il Libano sì), si può comprendere come per lo stato ebraico valga il solo “diritto di cattura”: chi prima arriva, prima trivella. Tollerato dalle Nazioni Unite come molti altri gesti unilaterali di Tel Aviv.
Ora il Leviathan è pattugliato da navi da guerra e sottomarini israeliani, mentre le trivellazioni continuano senza che ci sia stata una chiara risposta dalle Nazioni Unite. Anche la Turchia, estromessa da Afrodite e Leviathan, ha cominciato a esplorare la sua zona esclusiva tramite la Shell. Sono molte le compagnie pronte a setacciare anche i fondali libanesi: alcune di loro hanno già formato dei consorzi e stanno aspettando il rilascio di licenze esplorative. Ma la questione, in Libano, si scontra con le frequenti crisi politiche che subisce il paese: passare leggi sull’esplorazione e l’estrazione delle risorse marittime non è certo in cima all’agenda dell’esecutivo, e la prima legislazione in questo senso data solo del 2010. Il premier Miqati ha anche formato una commissione di sette membri per implementare la legge sulle esplorazioni che, secondo il ministro libanese dell’energia Gebran Bassil, entro la fine del 2012 autorizzerà le esplorazioni. Altro nodo spinoso è quello delle dispute settaire sul controllo del fondo che gestirà i guadagni dello sfruttamento delle risorse: in un Libano che spartisce persino i poteri costituzionali tra le varie confessioni, di frequente una setta beneficia più delle altre di certi guadagni. Non si tratta solo di confini marittimi: la corsa al gas libanese comincia dall’interno.
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