Cosa diavolo sta succedendo in Israele?

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Articolo pubblicato originariamente sul Pungolo Rosso

Secondo i giornali mainstrean è una lotta “per la democrazia”. Nel tessere le lodi di questa democrazia come una sorta di paradiso in terra medio-orientale, si “dimentica”, naturalmente, una circostanza di monumentale peso: l’oppressione dei palestinesi, lo spietato colonialismo di insediamento, l’apartheid, il razzismo di stato che caratterizzano questa vantata democrazia, le stragi, etc. Attenzione, però, a chiudere qui il discorso. Perché quello che sta succedendo in Israele, una spaccatura in profondità della società israeliana, è di grande importanza per la causa della liberazione dei palestinesi e per il futuro del processo rivoluzionario in Medio Oriente e nel mondo intero. Finora, infatti, Israele è stato il solido avamposto, un vero e proprio bastione dell’imperialismo occidentale nell’area, e il partner indispensabile per i governi arabi più reazionari. Ma ora in questo avamposto, dentro questo bastione, si è formato un movimento di massa (anche di scioperi!) senza precedenti nella storia di Israele per massa e per impeto che, qualunque sia l’esito della legislazione voluta da Netanyahu e ora sospesa, lo rende insicuro, instabile. Insicuro ed instabile fino al punto che Netanyahu, e non solo lui, hanno evocato il rischio di guerra civile. Quale l’oggetto del contendere? Davvero e solo i poteri della magistratura e della Corte suprema? Non lo crediamo affatto. Quello che è emerso con forza è un malcontento sociale e politico ampio, molto ampio, che va al di là della singola questione, e segnala comunque una volontà diffusa di resistere alla irresistibile ascesa del fascismo e del sionismo più oltranzista in Israele e dell’impunità assoluta, di ogni sorta di intoccabile privilegio, per le potenti organizzazioni dei coloni e degli ultra-ortodossi, per i promotori del suprematismo ebraico, che sono pilastri dell’attuale governo. Nel quale ci sono ministri che fanno conferenze stampa con dietro una mappa di Israele che include tutta la Giordania o sostengono che i palestinesi non esistono…

Ha ragione Meir Margalit, uno dei fondatori di Icahd, il comitato contro la demolizione delle case palestinesi, a sostenere che “la società [israeliana] ha già collassato da tempo: la sua base è deteriorata da anni, ha perso ogni etica. La violenza che Israele usa nei Territori occupati ha superato qualsiasi linea rossa, e si è infiltrata nella società israeliana. Siamo diventati una società violenta che permette a partiti fascisti di entrare al governo”. Proprio così: il militarismo che da decenni ha inflitto immense sofferenze e lutti al popolo palestinese, meglio: alle masse sfruttate e oppresse palestinesi (perché uno strato di borghesi palestinesi è protetto da Israele), questo spietato militarismo coloniale sta improntando crescentemente di sé anche la vita sociale e politica degli israeliani cittadini di serie A, con la sua violenza, con i suoi soprusi, con la sua corruzione, con il suo sessismo, con il suo razzismo anche verso gli ebrei di pelle più scura. Ed ora, anche se la stampa mainstream qui lo tace, per effetto di decenni di questo militarismo si stanno rafforzando i movimenti ed i partiti esplicitamente fascisti. Già nel 2011 emerse il malcontento sociale degli strati non sfruttatori della società israeliana in conseguenza del primato delle spese belliche sulla spesa sociale. Negli anni successivi c’è stato un forte movimento degli immigrati ebrei di colore che hanno denunciato le discriminazioni ai loro danni. Ora vediamo un mix di scontento sociale e politico verso Netanyahu come primo rappresentante dell’establishment politico. Certo, certo, siamo ben lontani dal riconoscimento delle radici del fascismo montante, ben lontani dallo schieramento al fianco dei palestinesi anche solo di una minoranza significativa di questo movimento. Eppure sarebbe cecità non vedere in esso il risultato – anche – della lotta irriducibile dei palestinesi che costringe lo stato di Israele a provvedimenti e misure repressive sempre più sanguinari, che a loro volta sono stati e sono l’humus per l’emergere di movimenti esplicitamente fascisti, ed un altro dei segni del declino delle democrazie occidentali, della loro incapacità di tenere compatte le proprie società nelle quali, invece, si sta scavando un fossato sempre più profondo tra la classe dominante e la massa della popolazione salariata. Se messi in prospettiva, gli avvenimenti degli ultimi due mesi in Israele sono di grande interesse. Altro che!

Voci da Israele sulle mobilitazioni contro Netanyahu

Voci da Israele sui limiti e le prospettive delle mobilitazioni per bloccare la distruzione del sistema giudiziario da parte del governo di Netanyahu

Ormai centinaia di migliaia di manifestanti sono mobilitati in tutta Israele e sono in piazza a Tel Aviv. Oggi 27 marzo, mentre scriviamo, il governo Netanyahu è appeso ad un filo, è praticamente morto.

La sua sorte è segnata, sia che decida di sospendere l’iter della “controriforma” giudiziaria (in questo caso dovrebbe disinnescare la minaccia di farlo cadere dei ministri della destra religiosa e del sionismo più razzista e, con una coalizione di maggioranza frammentata che ha 64 voti su 120 eletti alla Knesset, l’impresa è ardua), sia che decida di proseguire nella sua approvazione (e in questo caso dovrebbe affrontare la prosecuzione e l’ampliamento delle proteste di massa che, seppur rigidamente tenute separate dagli organizzatori principali da qualsiasi tipo di “contaminazione” con la lotta contro l’apartheid nei confronti dei palestinesi, andando avanti sarebbero costrette a dover oltrepassare il confine di una rivendicazione per “soli israeliani”).

In nome della “responsabilità nazionale” e per evitare “una guerra civile” Netanyahu ha rimandato la controriforma della giustizia alla sessione della Knesset successiva alla Pasqua ebraica, invitando l’opposizione ad un confronto sulla legge. Questa ha dato la propria disponibilità e il sindacato ha revocato lo sciopero. Governo e opposizione hanno preso tempo fino al 13 aprile prossimo, ma difficilmente riusciranno a controllare la situazione e a far rientrare le mobilitazioni.

In cambio dell’accettazione della proroga, il ministro della Sicurezza Nazionale Itamar Ben Gvir del partito Potere Ebraico, afferma di avere ottenuto che nella prossima seduta del governo sia discussa la creazione di una “Guardia Nazionale civile di volontari” alle sue dirette dipendenze. Ossia la creazione di una struttura paramilitare direttamente controllata dal suprematismo ebraico.

Anche questa soluzione provvisoria ci mostra che lo scontro sullo smantellamento dell’attuate struttura giudiziaria israeliana non è circoscrivibile ad una mera questione di sola democrazia, perché Israele non è un paese democratico. Lo stato sionista israeliano si fonda sull’apartheid, sulla “democrazia” per i soli israeliani, sulla guerra permanente contro i palestinesi (rappresentata come una lotta “contro il terrorismo”), per i quali l’attuale governo prevede unicamente la sottomissione o l’espulsione.

Noi saremo certo tacciati di “antisemitismo”, come chiunque si permetta di criticare la guerra permanente contro i palestinesi condotta dallo stato sionista israeliano e non ne accetti la sua rappresentazione “rovesciata”, fatta propria anche dai capitalismi occidentali, dai vari partiti di centro destra e centro sinistra, in amorevole sintonia tra di loro.

Poco importa, ma a sostenerlo non ci siamo soli noi, lo fanno anche una serie di voci provenienti da Israele (“antisemiti” anche loro?) e poiché abbiamo sempre ribadito che “il nemico non è oltre la frontiera”, riteniamo che il minimo segno di internazionalismo sia contribuire a far conoscere queste voci, pur non condividendo tutto quello che sostengono. In questo caso leggerete delle posizioni ben differenti da quello che ufficialmente circolano nei media di casa nostra.

Così presentiamo: l’intervento “Ho combattuto per Israele, ora combatto per porre fine all’occupazione permanente dei Territori Palestinesi” di Ori Givati, esponente di Breaking the Silence (l’associazione dei veterani dell’esercito israeliano che fanno contro informazione sulla realtà dell’occupazione dei Territori Occupati) apparso il 9-2-2023 sul sito The Daily Beast.
L’intervento si focalizza sul fatto che per la realizzazione del programma annessionista (dei Territori Occupati, del Golan, ..) di Netanyahu lo smantellamento dell’apparato giudiziario è funzionale a liberarsi di qualsiasi eventuale intralcio legale nel perseguimento dell’annessione, e che limitarsi a difendere l’attuale sistema giudiziario in sé, senza mettere in discussione l’occupazione e la supremazia ebraica, e senza rivendicare anche l’uguaglianza dei palestinesi, vorrebbe dire favorire questo progetto.

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