29 dicembre 2013 alle ore 21.55
Quest’anno il Natale in Sud Sudan e’ stato rattristato da un orribile avvenimento accaduto a Juba verso la metà del mese di Dicembre e che rischia di far ritornare il Paese in piena guerra civile.
Lo scorso 15 dicembre lo storico disaccordo all’interno del partito dell’SPLM (che ha guidato il Paese all’ indipendenza di due anni fa e lo governa da allora) e’ sfociato in uno scontro armato a Juba nelle caserme militari tra le due fazioni ( quella del Presidente Salva Kiir e quella del suo ex-vice Riak Machar e di altri 10 ex-ministri e ex governatori che erano stati dismessi dal presidente negli ultimi mesi) che e’ durato due giorni provocando oltre 500 morti.
In questi primi due giorni c’è stata la caccia ai Nuer per ucciderli nelle loro case e quindi con la possibilità che questo incidente diventasse una guerra tribale.
Il presidente ha fatto arrestare tutti e 11 oppositori di varie etnie con l’accusa di tentato colpo di stato, ma Riek Machar, che rappresenta la comunità Nuer, e’ fuggito da Juba e si e’ attestato col suo esercito a Mongalla ( 40 km a nord della capitale ) inizialmente ma poi si è spostato verso Bor.
Continue voci riportano che i ribelli vorrebbero ritornare in forza per un attacco alla capitale. Intanto forze fedeli a Riek Machar hanno conquistato le citta’ di Bor, Bentiu e Malakal, capitali degli Stati di Jonglei e Unity e Upper Nile. Bor e Malakal sembrano essere state riprese dalle forze governative dopo attacchi continui. Ma le notizie sono continue e altalenanti da una fazione all’altra in questi giorni. Questi tre stati dei 10 della Repubblica del Sud Sudan sono le più importanti zone petrolifere dello stato e anche dove vive la maggioranza dei Nuer, l’etnia che si contrappone a quella del presidente Salva Kiir. Mentre Bentiu è ancora saldamente nelle mani dei ribelli che sono fuoriusciti dall’esercito regolare e si sono schierati dalla parte di Riek Machar e hanno scacciato il governatore dello stato e installato il loro quartier generale militare che secondo loro controlla tutto lo stato dello Unity. Sembra una strategia orchestrata per ottenere poi negli eventuali “dialoghi di pace” più forza contrattuale e di potere da parte di Riek Machar.
Circa 20.000 sfollati da Bor, per lo piu’ Dinka Bor, hanno gia’ attraversato il Nilo e hanno cercato rifugio nello Stato dei Laghi. In Juba ci sono oltre 25.000 Nuer nei due campi organizzati da UNMISS in situazioni davvero precarie. Sono state trovate due fosse comuni in città contenenti centinaia di corpi non solo di soldati ma anche di bambini e donne. Gli sfollati interni al paese sono già 120.000 e quasi 50.000 quelli nei campi UNMISS sparsi nelle zone dove i ribelli e l’esercito si stanno scontrando.
Si contano ormai oltre un migliaio i morti dall’inizio di questo conflitto. La capitale Juba sembra molto calma nell’ultima settimana ed è stata rinforzata di molti altri soldati. Il consiglio di sicurezza dell’ONU ha raddoppiato il contingente dei soldati da 6,000 a 12,000. E vi sono anche soldati del Kenya e dell’Uganda che sono arrivati con l’accordo con il presidente Salva Kiir.
Vi sono state sin dall’inizio forti pressioni poste sui due contendenti da parte dell’ONU, dell’ Unione Africana, degli USA, della Comunità Europea e dell’East Africa, IGAD etc., per cercare di convincerli a negoziare ed ad evitare una guerra sempre più aperta coinvolgendo anche altre forze ed etnie. Vi è una grossa e profonda divisione tribale tra i due contendenti da lungo tempo e delle rispettive etnie. È notizia recente che il presidente abbia già liberato 2 di 8 che hanno deciso di lasciare andare tra i 10 ex ministri/governatore incarcerati che il governo considera responsabili insieme a Machar di tradimento e di aver complottato e organizzato il tentativo di colpo di stato. La mediazione internazionale ha portato a questo risultato nella speranza che queste stesse persone appartenenti a etnie diverse possano poi dialogare con il governo e coinvolgere meglio anche Riek Machar per trovare delle soluzioni concrete per il bene della gente.
Quasi immediatamente vi sono state molte iniziative da parte delle Chiese per evitare che il conflitto prendesse una linea dura. Con una lettera aperta le Chiese si sono rese disponibili a mediare tra le due parti e con la preghiera che questo conflitto non diventasse tribale. La popolazione ha subito passivamente una situazione di scontro di potere e che ancora non trova la via d’uscita e passi per riconsiderare le loro azioni divisorie. C’è bisogno di grande saggezza e di mettere il bene comune della gente del Sud Sudan davanti allo scontro frontale per il potere nel più giovane paese al mondo nato soltanto due anni fa.
P. DANIELE MOSCHETTI
COMBONI MISSIONARIES
JUBA – SOUTH SUDAN
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COSA STA SUCCEDENDO IN SUD SUDAN? di P. Daniele Moschetti
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