Cremisan, il monastero diviso

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9 gennaio 2012

Il monastero salesiano di Cremisan (etimo: la ‘vigna del vino dolce’) ha visto per 51 anni suore e frati convivere pacificamente in Cisgiordania. La barriera di separazione che Israele sta costruendo lungo – e all’interno – la Green Line, rischia oggi di creare una frattura insanabile tra la parte maschile e quella femminile dell’ordine. Perché? Perchè un provvedimento militare datato ottobre 2011 ha comunicato alla municipalità di Beit Jala, a nord di Betlemme, nella quale ricade il monastero, non solo nuove confische di terra, ma anche l’inclusione del monastero ‘maschile’ in Israele, e di quello ‘femminile’ in Cisgiordania. Da quel giorno, palestinesi ed ecclesiastici hanno avuto 64 giorni per presentare obiezioni al ministero della Difesa contro gli ordini di confisca.

Proprio in queste settimane, 59 famiglie palestinesi porteranno il loro caso all’Alta corte. Armati di certificati di proprietà risalenti all’epoca ottomana, cercheranno – con scarse probabilità – di bloccare la costruzione del muro nell’area di Cremisan. In merito agli ecclesiastici, pare che i frati non abbiano accolto la confisca con particolare avversione. Il monastero ricadrà nello Stato di Israele, con il quale i salesiani hanno un ottimo rapporto, perlomeno commerciale: producono un vino di eccezionale qualità, e il primo destinatario è proprio lo Stato ebraico.

Le suore versano invece in una situazione ben più difficile: gestiscono una scuola cattolica che serve i palestinesi dei villaggi circostanti, e la barriera di separazione renderà loro assai più tortuoso – se non impossibile – raggiungerla. L’unica strada che porta al monastero verrà presidiata da soldati e controllata da un check-point.

La Chiesa ha pubblicato una formale protesta in cui si leggeva: “Non siamo mai stati interpellati circa l’inclusione in territorio israeliano, l’intero tracciato della barriera di separazione è stato deciso dalle autorità israeliane”. Dopodiché, non ha più obiettato alla modifica del tracciato. Le suore invece, citate qualche giorno fa dal quotidiano Haaretz, sostengono che l’opinione loro e quella dei frati divergono. Senza però aggiungere ai giornalisti di Haaretz ulteriori dichiarazioni. Per loro parlano i fatti: dal 2002 hanno ripetutamente fatto richiesta al patriarca latino di Gerusalemme, massima autorità cattolica nella regione, di sostenerle nella lotta contro la barriera. Nel marzo 2010 hanno presentato a un tribunale israeliano la richiesta di rimanere in territorio cisgiordano. Nell’agosto dello stesso anno si sono unite – perdendo la causa di fronte all’Alta corte di giustizia – alla petizione presentata dai palestinesi di Walaja, cittadina che il muro cingerà quasi interamente. La prossima settimana presenteranno una nuova richiesta di riesame del tracciato a un tribunale minore di Tel Aviv. E i frati? Attendono gli eventi, in religioso silenzio.

P.S. Dopo la pubblicazione del nostro articolo, il Servizio comunicazione dei Salesiani ci ha inviato una replica a firma di don Giovanni Laconi, direttore dell’opera salesiana di Cremisan e di suor Adriana Grasso, direttrice dell’opera delle Suore Salesiane Figlie di Maria Ausiliatrice di Cremisan, nella quale si ribadisce che “non esiste tra loro alcun contrasto e non esistono posizioni differenti in riferimento alla costruzione del ‘muro’”. Le due comunità religiose, recita il comunicato “sono autonome nell’organizzazione delle propria attività a favore della popolazione locale, ma hanno sempre vissuto e vivono tutt’ora in ottime relazioni e rispetto vicendevole. Hanno sempre espresso la loro contrarietà alla costruzione del ‘muro’ e hanno pure espresso, nelle forme ritenute più idonee, piena solidarietà alle famiglie palestinesi di Beit Jala, che nella costruzione del “muro” subiscono ingiustizie e sono private dei terreni di loro proprietà”.

Luca Galassi

 http://www.eilmensile.it/2012/01/09/cremisan-il-monastero-diviso/

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