Dai giovani la speranza per Israele

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Agli oltre 300 studenti del Liceo Dante Alighieri non basta un lungo applauso di approvazione. Vogliono saperne di più. Vogliono dire la loro rabbia per aver stamattina imparato una lezione che li ha sconvolti: “L’ingiustizia che c’è in Palestina è così enorme da farmi incazzare quando in TV vedo solo intrattenimento e notizie false”, ha scritto Teresa in un post-it che è stato dato per raccogliere le loro reazioni ad una mattinata di educazione alla pace.

Sarebbe bellissimo poter far incontrare Teresa con Dafna, 17enne portavoce dei 50 giovanissimi obiettori di coscienza israeliani che in una lettera inviata al premier Netanyahu hanno annunciato che non faranno il servizio militare in protesta contro l’occupazione dei Territori palestinesi, il militarismo, il razzismo.

Questa è la notizia. Mentre infatti tutti i giornali riprendono stancamente la “solita” notizia sui bombardamenti degli F16 sulla Striscia di Gaza (anzi, sui razzi che dalla prigione di Gaza vengono lanciati in Israele), in solitaria Il Manifesto riporta questa importantissima notizia: “Ci opponiamo all’occupazione dei Territori palestinesi, alle esecuzioni mirate, alle costruzioni di insediamenti colonici, agli arresti amministrativi, alle torture, alle punizioni collettive». E’ un pesante atto di accusa quello che 50 “shministim”, ragazzi delle scuole medie superiori israeliane, hanno scritto in una lettera spedita al premier Benyamin Netanyahu” (Michele Giorgio, Il Manifesto, 11 marzo 2014)

Dopo che per decenni si è assistito alla palese e scandalosa omissione di compiere passi decisivi e concreti per il processo di pace, i più attenti osservatori politici concludono affermando che “Israele evidentemente non vuole la pace”. Ma pochissimi si preoccupano di dare il massimo dell’attenzione a quelle nuove generazioni di cittadini israeliani che alzano la voce per dire: “Ci rifiutiamo di abbandonare i nostri principi come condizione per essere accettati nella società e sollecitiamo gli israeliani a riconsiderare la loro posizione in merito all’occupazione, l’esercito e il ruolo dei militari nella società civile”.
Questa è la speranza di pace che anche Daniela Yoel, storica leader del movimento di Machsom Watch, ha ripetuto in questi giorni nelle sue conferenza in Italia.

Ma quali media, quali televisioni e riviste hanno cercato di dare rilievo a questa concreta alternativa al brutale consenso alla colonizzazione e distruzione della Palestina, che sembra venire dalla società israeliana?

Proviamo anche noi: proponiamoci di raccontare, ai giovani che incontreremo, che in Israele esistono dei coraggiosissimi ragazzi che non ci stanno: “La scorsa estate abbiamo cominciato a discutere del servizio militare che ci attende dopo la scuola. Qualcuno aveva già ricevuto il telegramma di convocazione da parte delle Forze Armate. Cosa facciamo? Ci chiedevamo sempre più di frequente. Questo interrogativo nei mesi successivi si è allargato a ragazzi di altre scuole e tanti hanno risposto, in modo esplicito, di non essere disposti a far parte di un esercito che compie crimini contro un popolo sotto occupazione (i palestinesi, ndr). Altri sono andati oltre affermando il rifiuto totale del servizio di leva e del suo ruolo nella costruzione della società israeliana”.

Insomma, diamo voce a Dafna e a tutti gli shminim che stanno costruendo con fiducia un altro stato di Israele. Auguriamo loro di riuscire ad aprire un dibattito che metta in crisi il sistema di apartheid accettato dalla maggioranza e di poter coinvolgere un numero crescente di coetanei.

“Siamo determinati e convinti delle posizioni che abbiamo espresso in quel documento che ha due punti fondamentali. Il primo è il rifiuto dell’occupazione dei Territori palestinesi e di ciò che commette l’esercito contro i palestinesi. Il secondo, altrettanto centrale, è il rifiuto della pesante influenza delle Forze Armate nella società israeliana. Faccio un esempio. Un ragazzo israeliano a 16-17 anni, mentre si avvicina la fine della scuola, non discute con amici e compagni di classe di cosa vorrebbe studiare all’università o di come intende costruire la sua formazione verso il mondo del lavoro. Parla invece del servizio di leva, del mondo militare, pensa e agisce in modo completamente diverso da un ragazzo di un altro posto del mondo. La pressione dell’Esercito sui giovani israeliani è enorme, oltre a condizionare tutta la società”.

A Dafna e agli altri giovani shministim: onore e stima, augurio, solidarietà e incoraggiamento a queste bocchescucite!

DAFNA_Sministim

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1 commento

  1. Leggo e commento le parole di Teresa:

    “L’ingiustizia che c’è in Palestina è così enorme da farmi incazzare quando in TV vedo solo intrattenimento e notizie false”.

    Ahimè! La mia è una voce nel deserto…

    Se Teresa legge questo mio commento, vorrei che cominciasse a riflettere quando giustamente indignata dice che “c’è ingiustizia in Palestina…”.

    Cara Teresa, sei proprio sicura che sia in Palestina questa “ingiustizia” che ti fa tanto indignare?

    Prova a interrogarti e a riflettere sui fondamenti di legittimità (meglio: illegittimità dello «Stato di Israele» e come come essa sia stata possibile e su cosa si regge.

    Non trovi strano che tutte le dichiarazioni, in genre a favore di Israele, parlino sempre del «diritto di esistere» dello «Stato di Israele»? Non trovi strana questa espressione? Ciò che esiste in genere esiste e non si parla mai di un «diritto di esistere» di ciò esiste. Teresa “esiste” e nessuno si interroga sul suo «diritto di esistere».

    Evidentemente, se quacluno parla di “diritto di esistere” vuol dire che si insinua il dubbio che un simile “diritto” possa non esistere, non essere riconosciuto.

    Nel testo si parla di ragazzi israeliani che avvertono tutto il disagio di vivere nello «Stato di Israele».

    Se Teresa si va a informare su chi è Gilad Atzmon, vedrà che è oggi un musicista assai noto, che è nato in Israele con un nonno sionista e terrorista dell’Irgun. Lui ha concluso che la Palestina, dove lui si è trovato a nascere, è una terra sottratta ai palestinesi. Per questo lui se ne è andato e ha così superato il suo disagio esistenziale.

    L’«ingiustizia» nasce per lo meno con la Dichiarazione Balfour, con il processo di insediamento di una popolazione “immigrata” che è singolare perché NON ha mai cercato una integrazione con gli “autoctoni”, ma ha sempre pensato (fin dal 1882) che i palestinesi se ne dovessero andare perché quella terra (per «diritto storico»!) era tutta e soltanto loro. Conosci, Teresa, niente di eguale? E che dire se i cittadini odierni di Roma, vanno a Londra e reclamano il possesso di tutta la città e di tutta la Britannia, perché fondata e conquistata dai Romani antichi? Potremmo reclamare anche noi un simili assurdoi “diritto storico”.

    Questa “ingiustizia” non nasce il Israele, fondato sulla grande “pulizia etnica” del 1948, ma anche in Italia e in tutti i paesi che hanno promosso, avallato e ancora oggi sostengono questa “ingiustizia”.

    Tutte le ingiustizie, o molte almeno, si possono “sanare”, ma ve ne sono alcune che sono “insanabili”. E mi pare che il modo in cui è nato lo «Stato di Israele» lo sia, uno stato che per giunta pretende di essere “ebraico”?
    Ti sei mai chiesta, Teresa, cosa ciò significhi e cosa ciò implichi?…

    Devo smettere, ma con un invito alla rilfessione da parte di chi legge. Con un invito a trasferire la “indignazione” dalla Palestina all’Italia, perfino alla scuola che ha organizzato il viaggio, agli insegnanti che hanno accompagnato gli studenti, al preside che ha autorizzato, alle autorità scolastiche cittadine, provinciali, regionali, ministeriali, che fanno accordi “scientifici e tecnologici” con lo Stato di Israele, che andrebbe “boicottato”…

    L’errore sta nel NON guardare in casa propria. Dico “errore”, non “colpa”, perché non ho il benché minimo dubbio sul candore e la buona fede di Teresa, alla rivolgo il più affettuoso e caloroso saluto

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