admin | July 16th, 2012 – 9:47 pm
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Scusate l’assenza, ma ogni tanto l’astinenza dal flusso virtuale dei pensieri è salutare. Magari si può fare giardinaggio con la stessa serietà… E tanto per rimanere su temi che all’apparenza hanno poco a che fare con geopolitica e considerazioni di alta politica mediorientale, vorrei far riflettere il lettore sulla dimensione pubblica dei giovani (uomini e donne) che hanno fatto la rivoluzione in Egitto.
Chi ha seguito la Thawra dal 25 gennaio 2011 si è certo accorto che alcuni, tra i protagonisti di Piazza Tahrir, sono divenuti personaggi pubblici. Non solo perché sono comparsi più volte sul piccolo schermo, intervistati da Al Jazeera e dalla schiera dei programmi d’informazione arabi. Volti divenuti noti, insomma. Volti e nomi giovani, arrivati sulle tv arabe sugli scudi della rivoluzione. Il caso più eclatante, che gli appassionati di mondo arabo (come me) ricordano, è quello dell’intervista su Dream tv a Wael Ghonim, il manager di Google sequestrato dalle forze di sicurezza egiziane all’inizio della rivoluzione e liberato grazie alle pressioni del web che avevano raggiunto anche i politici e i governanti di Washington. Intervista che ha tenuto incollati gli egiziani, e li ha fatti commuovere quando Wael Ghonim si è scusato con i genitori dei ragazzi assassinati dai cecchini del regime di Mubarak e dalle forze di sicurezza. Non volevamo, disse, non volevamo che si morisse… Ma non è stata nostra, la colpa. Le sue lacrime in diretta tv sono state la consacrazione della dimensione pubblica dei rivoluzionari.
Gli shuhada, i martiri della rivoluzione egiziana, in gran parte ragazzi, sono stati gli altri volti noti. Reiterati in misura esponenziale negli sticker che addobbavano le macchine, nei poster, nei graffiti, nella cartellonistica, nel web. Una ripetizione dell’immagine che avrebbe fatto felice Andy Warhol, e che ha dato una dimensione epica alla stessa Thawra.
Poi è stata la volta di Alaa Abdel Fattah, arrestato da un tribunale militare dopo la strage dei copti e soprattutto dopo le denunce che il più famoso e il più politico tra i blogger egiziani aveva lanciato. Accuse contro l’esercito, per aver compiuto la strage nelle strade del Cairo. Con @alaa, la dimensione pubblica si è arricchita di una nuova componente: la famiglia. Non è stato solo Alaa Abdel Fattah ad andare in prigione, è stata un’intera famiglia a essere colpita. I suoi genitori, intellettuali protagonisti dell’opposizione. Le sue sorelle e i suoi cugini, protagonisti di Piazza Tahrir. E soprattutto sua moglie, blogger, famosa forse quanto lui, assieme al loro bambino che doveva nascere. Il primo figlio voluto, desiderato della rivoluzione. Khaled è nato mentre il giovane padre era in carcere, e l’attesa della sua nascita è divenuto un collante tra i ragazzi di piazza Tahrir, nonché uno strumento di pressione sul Consiglio Militare Supremo. Un padre che non può assistere alla nascita di suo figlio. Un padre che, quando viene liberato dal carcere, alla fine di dicembre, compie assieme a suo figlio un gesto tutto politico: l’ingresso a Piazza Tahrir che consacra Khaled il primo bambino della rivoluzione. Il tutto documentato da foto, tweet, e una pletora di condivisioni su FB, clic su “mi piace”, graffiti, stencil sui muri del Cairo.
on finisce qui. A primavera, due tra i protagonisti della rivoluzione si sposano. Hossam el Hamalawy e Gigi Ibrahim, altrettanto celebri nelle conferenze organizzate in Europa sul Risveglio Arabo e sugli schermi dei network televisivi. Le foto della loro festa di matrimonio sono le tipiche foto della felicità privata, la famiglia, il vestito bianco di lei, i loro volti radiosi … E di nuovo, è come se l’elemento politico non venisse mai abbandonato. Le foto del loro matrimonio sono su Facebook e Flickr, in un flusso di informazioni e di scambi che non si ferma mai.
Evidente la differenza con la vecchia Europa, dove lo star system è composto di calciatori, fidanzate di calciatori, veline e poco altro. Nella dimensione pubblica egiziana, sono entrati nella schiera dei personaggi i rivoluzionari. Sono i ragazzi a far parte dei visi noti.
C’è materia per riflettere. Più su di noi che su di loro, ahimè.
Sull’argomento mi ero fatta una chiacchierata con Sandra Sain, sulle frequenze della Radio Svizzera Italiana, all’inizio di luglio, nella settimana in cui ho parlato di mondo arabo nella trasmissione “In Altre Parole”.
Playlist? Kamilia Joubran che canta Umm Kulthoum durante una trasmissione radiofonica, all’impronta. Una chicca…
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