diamo un… calcio all’ingiustizia

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E prendiamoci una pausa per guardare la Palestina occupata attraverso la nostra Lente d’Ingrandimento ancora sulla città di Hebron, ma stavolta godendoci un VIDEO di calcio:

http://nena-news.globalist.it/Detail_News_Display?ID=80837&typeb=0&VIDEO-La-Palestina-si-riprende-l’Area-C-Col-pallone

Per qualche ora, il 61% della Cisgiordania, simbolicamente, è tornato nelle mani (e nei piedi) della popolazione palestinese.

Lo scorso 29 giugno si è tenuta una partita di calcio nel villaggio di Dkaika, a poche centinaia di metri dall’inizio della Firing Zone israeliana: sei squadre, cinque palestinesi da diverse città della Palestina storica (Nablus, Gerusalemme, Hebron, Ramallah, Yatta) e una formata da cittadini europei, diplomatici e membri di organizzazioni non governative, tra cui John Gatt, responsabile della delegazione della UE in Palestina. Ma non solo: a scendere in campo sono stati anche rappresentanti dei ministeri dell’Autorità Palestinese, tra cui il ministro della Cultura, Anwar Abu Eishe.

Si sono sfidati su un campo che non c’era: il torneo, vinto dalla squadra di Yatta, si è svolto su un terreno scelto per l’occasione, livellato, e dove sono state tracciate le linee di fondo campo con il gesso e poi posizionate le reti. L’obiettivo? Portare sul posto, accanto alle comunità che ogni giorno subiscono le conseguenze delle politiche di trasferimento forzato implementate dal governo di Tel Aviv, sia attivisti internazionali che giornalisti e membri del governo.

Prima della partita, Michele Pierpaoli, di GVC Italia, uno degli organizzatori dell’evento accanto ad altre Ong internazionali e al Ministero della Cultura dell’ANP, aveva spiegato a Nena News: “Abbiamo scelto il villaggio di Dkaika perché è proprio fuori l’area coperta dalla Firing Zone, in Area C. Ci sono alcune organizzazioni internazionali che da anni lavorano in Area C cercando di portare all’attenzione i problemi delle comunità residenti e il grave livello di isolamento e carenza di servizi. GVC Italia è una di queste. Personalmente, il mio obiettivo è far sapere dell’evento fuori dalla Palestina, del suo forte valore simbolico. Ma non solo: vorrei che anche i rappresentanti dell’ANP e palestinesi residenti a Ramallah o in Area A possano così dimostrare la loro solidarietà ai villaggi in Area C”.

L’Area C, il 61% della Cisgiordania secondo la divisione stabilita con gli Accordi di Oslo nel 1994, conta 542 comunità dove risiedono 150mila palestinesi. A fornire i dati è l’agenzia delle Nazioni Unite, OCHA. Accanto ai villaggi minacciati, vivono 350mila coloni divisi in circa 135 colonie. Il 70% dell’Area C non è utilizzabile per lo sviluppo delle comunità palestinesi che non possono costruire alcuna struttura abitativa o scolastica o sociale, né allacciarsi alle reti idriche, elettriche e fognarie (servizi che, secondo il diritto internazionale e la Convenzione di Ginevra, spetta al potere occupante – Israele, in questo caso – fornire).

Ciò fa sì che il 70% delle comunità dell’Area C non abbia accesso alla rete idrica e che i residenti possano utilizzare meno di 20 litri di acqua al giorno a testa, un quinto della quantità raccomandata dall’Organizzazione Mondiale della Sanità.

Per un giorno, due sabati fa, il popolo palestinese s’è ripreso l’Area C con una partita di calcio che ha portato con sé tanti simboli. E, si spera, una reale consapevolezza tra i vertici politici e le organizzazioni internazionali.
Nena News

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