Quando hai vissuto un incubo perché in un giorno qualsiasi ti hanno distrutto la casa, ti hanno detto di raccogliere le tue povere cose e di partire, vorresti forse che qualcuno si accorgesse di te. Che uno sguardo solidale ti facesse comprendere almeno che è accaduto qualcosa di ingiusto.
Quando l’incubo si fa tragedia e esodo collettivo, il dolore si fa grido corale, e ci si aspetta che venga per lo meno intercettato, se non accolto e lenito.
Quando sopra il tuo dolore, la tua memoria, le macerie della tua vita si costruisce un parco e la tua terra cambia nome, cambia volto e memoria, capisci di aver subìto l’ennesimo sopruso, forse il più grande: la memoria, la tua memoria personale e quella della tua gente, viene negata. Non osteggiata, contestata o minacciata. Semplicemente il tuo passato e la storia del tuo popolo non ci sono più. Non sono mai esistiti.
Emmaus e Canada Park, Israele. 1967 e 2009. Luoghi e manipolazioni di un passato e di un presente che concentrano nella geografia e nella storia di due popoli una tragedia che è stata e che è ancora ferita aperta.
Quando un soldato improvvisatosi fotografo della parte avversa fissa in un clic il tuo dolore e lo rende vivo ma soprattutto reale e lo testimonia anche dopo anni e dice che tu c’eri, che era tuo l’asino carico di coperte e che il parco riempito di conifere in questa terra dove crescevano i cactus ha cambiato violentemente destinazione d’uso perché era villaggio, erano campi, senti che un po’ l’antico dolore si scioglie, perché il tuo passato rimane duro ma è condiviso, rivisitato insieme, accolto nella sua drammatica e inconfutabile verità.
E poi Israele e i Territori palestinesi occupati. Oggi. Muri, checkpoint, campi profughi e colonie. Così per decenni. La stessa storia, fino a queste ore in cui assistiamo ad un Presidente palestinese fantoccio che prova a battere i piedi per terra: Basta, non gioco più.
Non mi ricandido. Anzi sì. Anzi, facciamo un’altra intifada. Che ci resta ancora da fare? E tutte le diplomazie in silenzio ancora una volta. Nonostante da Gaza si levi altissimo l’ultimo lamento dei vinti. E la speranza incarnata in Obama non ce la ricordiamo già più.
Ma torniamo agli ultimi fotogrammi della pellicola di questa storia, emblematica perché è esattamente la storia di oggi, 1 dicembre 2009. E se vedremo due uomini, un israeliano e un palestinese, che si incontrano attorno ad un tavolo da pic-nic in un parco che ha sepolto la memoria di un villaggio arabo, riprenderemo a sperare. E le rovine di quel villaggio che il solo pronunciarne il nome, Emmaus, risuscita memorie di un Dio solidale e compagno di strada, saranno testimoni di un nuovo incontro tra i due eterni contendenti, tra le due memorie. “E la memoria dei vinti aiuterà a guarire la memoria dei vincitori e insieme inventeranno il futuro. I vincitori saranno guariti dal fatto di essere vincitori e i vinti dovrebbero guariti dal loro essere vinti, per essere tutti e due esseri umani e inventare insieme il futuro” (Rafik Koury, Piazza Pulita)
BoccheScucite
Questo e tanto altro ancora è “Piazza pulita”, l’ultimo reportage promosso dalla campagna “Ponti e non muri” di Pax Christi Italia, presentato a Fiesole, alla Giornata Onu per il popolo palestinese.
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