Diplomazia e servizi segreti: così Shalit sarà liberato

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Come si è arrivati a un passo dalla liberazione di Gilad Shalit? Sono stati mesi  e anni di lavoro sotterraneo, di diplomazia politica e di intelligence, di  accordi segreti sulla contropartita da garantire. E proprio sulla contropartita,  si dividono la politica e la società israeliana: “Con il rilascio dei  prigionieri palestinesi in cambio di Gilad, la si dà vinta ai terroristi”.

12 ottobre 2011 – 14:27

È stato un lungo lavoro di rifinitura. Di negoziati più o meno diretti. Di  messaggi e veti incrociati. Di cifre sparate al rialzo e poi abbassate. Di  riunioni urgenti di governo finite alle 4 del mattino e con l’obbligo – morale e  professionale – di tenere la bocca chiusa. Anche con i famigliari più stretti.  Infine, di colloqui che si sono poi incastonati in uno scacchiere più ampio,  quello mediorientale. La sorte di Gilad Shalit è stata decisa in poco più di  ventiquattr’ore. Tra il 3 e il 4 ottobre scorso. Quando al Cairo, dopo ore di  telefonate e trattative, viene raggiunto l’accordo e vengono sottoscritte le  clausole per lo scambio tra il soldato israeliano rapito più di cinque anni fa  dal braccio armato di Hamas e i 1.027 detenuti palestinesi nelle carceri dello  Stato ebraico. La svolta, secondo i bene informati, sarebbe arrivata nel tardo  pomeriggio del 4 ottobre, quando il Segretario di Stato americano Leon Panetta – quel giorno in visita ufficiale in Egitto, dopo essere stato a Gerusalemme – avrebbe preso il telefono e parlato direttamente con Khaled Meshaal, il numero  uno di Hamas. Insieme, avrebbero deciso i termini dell’accordo. A partire dal  numero di prigionieri palestinesi da rilasciare: in un primo tempo Meshaal pare  abbia chiesto di liberarne seimila, cioè quasi tutti quelli attualmente nelle  galere israeliane. Panetta si sarebbe impuntato sulla cifra «tollerabile»: cioè  mille.

A quel punto Meshaal avrebbe rilanciato accettando il  numero, ma chiedendo il rilascio anche delle donne palestinesi incarcerate. La  rifinitura sarebbe poi toccata, al Cairo, all’inviato speciale del premier  israeliano, David Meidan, e al capo del braccio armato di Hamas, le Brigate  Ezzedin al-Qassam, Mohammed Jabry. In realtà, secondo voci provenienti  dall’intelligence israeliana, ci sarebbe anche un accordo nell’accordo: oltre a  risolvere il caso Shalit, Hamas si impegnerebbe a tagliare i cordoni con il  regime siriano di Bashar al-Assad, a chiudere gli uffici a Damasco, ad avere  meno rapporti possibili con Hezbollah e il regime iraniano. Tutto questo in  cambio di una sorta di «patronato» americano su Hamas, in crisi di credibilità e  popolarità in Cisgiordania e nella Striscia di Gaza. C’è – o meglio: ci sarebbe – anche dell’altro. Sempre secondo i bene informati, i colloqui su Shalit  sarebbero stati anche il pretesto per discutere di altro. Del futuro  dell’Egitto, per esempio. Il prossimo mese (28 novembre) ci saranno le elezioni  parlamentari. I sondaggi danno i Fratelli musulmani tra i favoriti. E per  questo, l’amministrazione Usa avrebbe deciso di dialogare con loro, «di  allontanarli dall’influenza iraniana e di avvicinarli alle posizioni – più  moderato e filo-occidentali – della Giunta militare» che ora detiene il  potere.

È in questo groviglio di interessi, paure, scenari e  necessità che si arriva così all’accordo per la liberazione del soldato  israeliano. Accordo firmato da Israele, Hamas, Egitto e Stati Uniti. Tenuto  nascosto a tutti. Soprattutto perché, nel frattempo, a Gerusalemme Netanyahu  avrebbe dovuto far «digerire» all’ala di estrema destra del governo le  condizioni per riportare a casa Shalit. O, come le ha chiamate da subito il  premier israeliano, la «finestra di opportunità». Prima del Consiglio dei  ministri di martedì 11 ottobre, ce ne sono stati altri due. Riunioni  segretissime e drammatiche. Incontri ristretti solo a 8 componenti di governo  (conosciuto nel Paese come il «Forum degli otto»). Colloqui terminati alle  quattro del mattino. L’ultimo sarebbe stato particolarmente drammatico. A un  certo punto, a bozza sostanzialmente firmata, l’estrema destra si sarebbe  impuntata. A quel punto Netanyahu avrebbe urlato. Avrebbe minacciato gesti  eclatanti. Poi, puntando l’indice contro i ministri-leader di partito, avrebbe  così concluso: «Se chiudete questa “finestra di opportunità” avrete quel ragazzo  sulla coscienza per tutta la vita». Martedì sera, mentre il Paese seguiva gli  eventi, il Consiglio dei ministri al completo ha approvato l’accordo con Hamas:  i favorevoli sono stati 26, i contrari 3. Nomi e cognomi Netanyahu non ha  esitato a renderli pubblici, anche se due sono del suo stesso partito: Avigdor  Lieberman (ministro degli Esteri, leader di “Israel Beitenu”), Silvan Shalom  (vice-premier e ministro per lo Sviluppo regionale, “Likud”), Moshe Yaalon  (vice-premier e ministro degli Affari strategici, “Likud”). Subito dopo arriva  la telefonata tra Netanyahu e i genitori di Gilad: «Noam, Aviva stiamo portando  il vostro ragazzo, il nostro ragazzo a casa».

È stata grande festa a Gerusalemme, nella tendopoli  allestita da qualche giorno da parenti e amici del soldato rapito di fronte  all’ingresso di casa Netanyahu. Anche se mancano ancora dei passaggi tecnici: la  firma del presidente israeliano Peres della grazia per 450 detenuti (che saranno  liberati al momento del rilascio di Shalit), il trasporto del soldato in Israele  attraverso l’Egitto. Le tv – nazionali e non – stanno già allestendo il circo  mediatico. secondo le ultime indiscrezioni il ragazzo 25enne potrebbe tornare a  casa nelle prossime 48 ore. L’unica nota stonata, in un clima di generale  sollievo, è quella dei parenti delle vittime degli attentati provocati da buona  parte dei detenuti palestinesi che saranno liberati: «Con questo accordo, lo  Stato ebraico si arrende al terrore».

http://www.linkiesta.it/diplomazia-e-servizi-segreti-cosi-shalit-sara-liberato#ixzz1aZZAgrMn

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