admin | February 10th, 2012 – 2:16 pm
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E nel mondo arabo del Secondo Risveglio, il venerdì è il giorno. Giorno della protesta, giorno-catalizzatore. Giorno in cui si contano le forze, e si mostrano le forze in campo.
E’ di nuovo venerdì, di nuovo giorno di manifestazioni contro la giunta militare, al Cairo. Il “giorno della partenza”, ovvero la manifestazione organizzata da 40 tra gruppi e partiti e movimenti, con un solo obiettivo: costringere la giunta militare a mettere nero su bianco la data in cui lascerà il potere, lo passerà a un’autorità civile, e ritornerà in caserma. Gli organizzatori parlano di una marcia di un milione di persone verso il ministero della difesa. Chissà se saranno questi i numeri.
Perché i Fratelli Musulmani, già stamattina, hanno mostrato le loro differenze nei confronti degli attivisti. Su twitter si riferisce di uno scambio di slogan tra sostenitori dei movimenti di Tahrir e i militanti dell’Ikhwan. Il cuore dello scontro è tra chi, gli attivisti, vuole esercitare la più forte pressione possibile, adesso, sulla giunta militare, e – dall’altra parte – la Fratellanza Musulmana che continua ad sostenere una linea gradualista. Lo fa, d’altro canto, dal gennaio del 2011, quando subì la rivoluzione del 25 gennaio, salvo poi entrarvi quando si accorse che la rivoluzione stava vincendo e non c’erano alternative.
Anche stavolta, l’Ikhwan assume lo stesso atteggiamento attendista. Ma gli attivisti non cedono. Da domani parte la campagna per la disobbedienza civile, che continuerà – nelle intenzioni degli organizzatori – sino a quando la giunta militare non lascerà il potere. A partecipare è anche l’AUC, l’American University del Cairo, che appoggia in sostanza la campagna di disobbedienza civile con una serie di incontri proprio sui militari e sulle iniziative politiche contro il Consiglio Supremo.
È venerdì non solo al Cairo. È venerdì in Cisgiordania, dove continuano a svolgersi, come succede ogni fine settimana, le manifestazioni nei paesini della West Bank colpiti dal Muro, dalle chiusure e dai coloni. Lo hashtag da seguire oggi su twitter è #Qaryout. Il confronto tra dimostranti, esercito israeliano e coloni è già iniziato.
È venerdì anche ad Aleppo, a Homs, e in tutte le città martiri siriane. È un venerdì di sangue ad Aleppo, per i due attentati che hanno seminato morte stamattina. Il regime di Bashar el Assad accusa non ben identificati “terroristi”. La resistenza siriana respinge le accuse. E il bagno di sangue continua, mentre la diplomazia internazionale è bloccata non solo e non tanto da Russia e Cina. Ma dal fatto che l’empatia per il destino delle persone, del popolo siriano è solo una parte della fotografia. Anzi, solo un dettaglio, nella fotografia. Il resto è ostaggio di quello che le cancellerie pensano sul futuro strategico del Medio Oriente. Cosa succederà alla Siria, di chi sarà alleata senza Bashar el Assad, quanto influirà la rivoluzione siriana sull’atteggiamento di Teheran. Quanto influiranno gli eventi di questi giorni e di queste settimane sul tanto ventilato (e paventato) attacco aereo israeliano ai siti nucleari iraniani. Insomma, del destino dei siriani, della popolazione stremata della città martire di Homs, a chi interessa? Questa analisi di Joshua Landis (il suo Syriacomment fa seguito quotidianamente, per tentare di capire qualcosa) spiega già alcune delle cause della resistenza occidentale a entrare nel conflitto siriano. L’altra ragione è nel chi è dell’opposizione ad Assad, che Landis descrive frammentata, almeno sino a due settimane fa. Storicamente sono stati i Fratelli Musulmani siriani, oltre alle altre opposizioni nazionaliste e laiche. L’Occidente sa che, realisticamente, conviene appoggiare l’Ikhwan, espressione di parte del fronte sunnita. Anche in funzione anti-iraniana. Ma questo vorrebbe dire avere una futura Siria governata dall’islam politico. Lo vuole l’Occidente? E Israele cosa pensa?
La foto che illustra questo post è stata scattata al Cairo, stamattina, da Gigi Ibrahim, una delle attiviste della rivoluzione egiziana.
Per la playlist, ancora Ziad el Ahmadie. Ho visto che è stato molto apprezzato. E allora, sempre dallo stesso album, Organised Chaos. Sonorità molto tradizionali, ma – visto il tema di oggi – è un llamento necessario.
Intanto, a chi interessa, suggerisco il link con le foto per Time di Alessio Romenzi, giovane fotografo italiano, scattate proprio a Homs. Chiariscono molto, sulle vittime di questa tragedia ahimé poco documentata.
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