E se alla fine vincesse Hamas?

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18 NOVEMBRE 2012 – 17:24

di UGO TRAMBALLI

 Egitto, Turchia, Qatar. Se le truppe israeliane non hanno ancora ricevuto l’ordine d’attacco su Gaza è per quello che sabato accadeva al Cairo: non solo un vertice ma uno straordinario segnale del mutare dei tempi in Medio Oriente.  Si tratta un cessate il fuoco ma Hamas non interrompe i suoi lanci di razzi e Israele, mentre risponde con l’aviazione, prepara l’offensiva terrestre.

  Almeno 30mila soldati e centinaia di mezzi sono alla frontiera della striscia e attendono. Il ministero della Difesa ha messo in allerta 75mila riservisti. La sproporzione, il numero eccessivo di truppe per una missione di questo genere – nella precedente invasione di quattro anni fa erano stati richiamati 10mila uomini e donne- in qualche modo segnala più la volontà di premere su Hamas che quella di agire davvero.

  Le valutazioni che in queste ore stanno facendo i vertici israeliani sono infatti più politiche che militari. Il giornale Ha’aretz  rivela che da giorni gli egiziani stanno negoziando con Hamas per ottenere un cessate il fuoco. Il nuovo ministro dell’Intelligence, Rafat Shehata, tratta per una tregua entro 24/48 ore. Con un annuncio che sembra una minaccia ma potrebbe essere una concessione, il viceministro degli Esteri Danny Ayalon spiegava sabato sera che Hamas ha 24/36 ore di tempo per fermarsi. Poi Israele lancerà la sua offensiva. Forse.

  I rischi politici di un’operazione militare sono ancora più evidenti dopo il vertice di alto livello del Cairo: il presidente egiziano Mohamed Morsi, quello turco Erdogan, l’emiro del Qatar Hamad al-Thani e Khaled Meshaal, il capo politico di Hamas che qualche mese fa ha spostato il suo quartier generale da Damasco, dove lo proteggeva Bashar Assad, a Doha nella quale la protezione emirale è più sicura, munifica, moralmente più accettabile. E’ il peso di un nuovo Medio Oriente in costruzione che Israele non può ignorare.

  Forse è illusorio pensare che Hamas possa cambiare. Ma neanche il movimento islamico palestinese può ignorare la pressione di quel peso. Se esiste una possibilità che Hamas possa finalmente riconoscere il diritto israeliano di esistere all’interno di un negoziato di pace rinnovato, è quella messa in campo da Egitto, Turchia e Qatar.

  Nessuno di questi Paesi è anti-israeliano per principio come la Siria di Assad o l’Iran: l’Egitto firmato ha un trattato di pace con Israele, la Turchia è stata suo alleato strategico, il Qatar fu tra i primi ad avviare scambi economici quando si aprì il processo di pace di Oslo. Giudicano Israele in base ai suoi comportamenti, non per assunto ideologico o religioso. Come promesso dall’emiro nella sua visita a Gaza il mese scorso, offrendo 400 milioni di dollari, il Qatar ha i mezzi economici per ricostruire Gaza; Egitto e Turchia la forza per garantire un quadro politico stabile nel quale riprendere una trattativa di pace.

  Anche se alla fine Israele invadesse di nuovo Gaza, anche se il numero delle vittime salisse come quattro anni fa, il vincitore di questa partita è Hamas. Allora come oggi Israele non sradicherebbe il movimento islamico dalla striscia né riuscirebbe a eliminare la minaccia dei suoi razzi capaci di arrivare sempre più lontano.

  I leader della regione fanno la coda per incontrare i suoi capi; è arrivato anche il ministro degli Esteri francese ed è prevista la visita di Ban Ki-moon; la Lega araba, sabato anche lei in seduta d’emergenza al Cairo, dopo anni di oblio ha riposto la questione palestinese al vertice delle sue priorità. Il problema che era stato volutamente congelato, è tornato a unificare un mondo arabo distratto e diviso.

 E’ amaro che Hamas abbia raggiunto il suo obiettivo con la violenza, lanciando con premeditazione razzi su Israele. Il povero Abu Mazen e la sua Autorità palestinese a Ramallah, che avevano scelto la strada della trattativa, della ricostruzione economica, garantendo intanto sicurezza a Israele, è completamente scomparso dalla mappa del Medio Oriente. E’ stato ignorato e vilipeso dal governo di Bibi Netanyahu che ha preferito avere a che fare con i palestinesi con i quali sa meglio trattare: quelli che sparano . Fra qualche giorno Abu Mazen ripresenterà alle Nazioni Unite la causa dello Stato indipendente e, per paradosso, verrà condannato dagli Stati Uniti per la sua richiesta forse impropria ma pacifica.

 Quello che i leaders di Egitto, Turchia e Qatar hanno deciso al Cairo, e la Lega ratificato, è la fine del processo di pace sotto forma di Road Map, Quartetto, Gaza and Jerico first, Oslo I e II, Area A, B e C, inutili vertici qui e là per il Medio Oriente e di tutti gli altri parafernalia inventati, organizzati, ritmati nel tempo e alla fine archiviati dai presidenti degli Stati Uniti e dall’Europa presente come attore non protagonista. E’ tutto finito. Morto. Ora saranno gli arabi a decidere del destino palestinese. Se la notizia sia buona o cattiva, lo diranno i prossimi mesi.

http://ugotramballi.blog.ilsole24ore.com/slow-news/2012/11/e-se-alla-fine-vincesse-hamas.html

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