admin | February 2nd, 2011 – 7:03 pm
I hate you Mubarak, one day you made me want to leave this country but now am staying and you will leave #Jan25 #Egypt
(Maggie Osama, su twitter)
Poco fa ho ricevuto una email da una lettrice, Chiara, che mi ricordava di una mia risposta privata, in cui le dicevo di conservarsi le “parole preziose nella bisaccia”. Altrimenti, quando poi ne abbiamo bisogno, non ce ne sono altre, conservate. Per gli strani meccanismi della memoria, ma poi, in fondo, non così strani, mi sono ricordata di una lettera che mandai al Manifesto, mentre facevo il mio dottorato a Firenze. Tanto tempo fa, verrebbe da dire. Oltre vent’anni fa. Era il 1989, e su altri schermi, senza internet, tutti guardammo in (quasi) diretta il massacro di Tienanmen. Massacro di notte, invero, e poche telecamere. Le maschere di quei ragazzi me le ricordo ancora, indelebili, quanto le facce attonite dei ragazzi tedeschi che scappavano dalla DDR e dei ragazzi ungheresi euforici nell’aver conquistato la libertà, tra riviste letterarie, politica, futuro. Indelebili quanto le facce dei miei invisibili ragazzi di Tahrir, che stanno rischiando in questo momento un’altra Tienanmen.
Il paragone lo faccio con la dovuta razionalità. Quando ci ho pensato, alcune ore fa, mi sono chiesta se non fosse troppo facile, troppo scontato. E troppo sbagliato. Poi ho letto un tweet di Ben Wedeman, amico e grande reporter della CNN, secondo il quale c’è il rischio di una Tienanmen 2. Mi sono venuti i brividi. Non è uomo da usare le parole a caso, senza soppesarle. Assisteremo a un’altra Tienanmen? E’ già in corso? Avverrà domani? E poi, piangeremo tutti e reagiremo dicendo che è il prezzo da pagare per la Realpolitik, per la vera politica? Non ci sto, a questo gioco al massacro, e non ci stavo nemmeno nel 1989.
Ho cominciato a pensare alle facce dei ragazzi di Tahrir. Quelli che conosco personalmente, quelli che ho visto in foto. Quelli che ho seguito nel corso degli anni. Omar Robert. Sta tweettando direttamente dalla piazza, madre egiziana e padre inglese. Poteva starsene a Londra, è arrivato al Cairo. Quanto di più laico e occidentale si possa immaginare. Ironico, con il suo inglese strettissimo. Sta mostrando molto coraggio, e anche sua madre. Alaa e sua moglie Manal, i creatori del primo aggregatore di blog, oltre cinque anni fa. Erano in Sudafrica, e dal Sudafrica hanno aiutato i loro amici a far uscire le notizie da un Egitto tornato indietro all’era preinternet. Ieri hanno preso un volo per tornare a vivere la rivoluzione, e lo hanno comunicato a noi lettori. Sono stati assaliti dai provocatori, attorno a piazza Tahrir. Sono tra i migliori blogger d’Egitto, e per la loro dissidenza via web hanno pagato. Alaa anche con la galera. Abdel Moneim, sono sicura che sei lì. Blogger islamista. Senza barba, senza zuccotto in testa, vestito all’occidentale, sguardo dolce, lo intervistai alle spalle di Tahrir, in uno di quei nuovi caffè che erano stati aperti di fronte alla (ora) vecchia sede dell’American University del Cairo. La nuova faccia dell’islam politico, per nulla talebana.
E poi gli altri, i ragazzi e le ragazze che potrebbero essere in piazza, che lo sono col cuore, e che sono comunque i ragazzi di Tahrir. Nagwan, Lamya, Marwa, Ayman, i tanti dai nomi che ho dimenticato. Quelli che mi chiedevano come si faceva ad avere un visto per l’Italia, per vivere meglio e con una speranza. Quelli che, laureati, facevano gli autisti, i camerieri. Quelli narrati da Alaa al Aswany. Quelli laceri. Quelli che vorrebbero desiderare un futuro. I ragazzi di Tahrir, fotografati in questi giorni, dai fotografi professionisti. Oppure da uno di loro, Hossam el Hamalawy, o meglio, per il mondo dei blogger, arabawy. Stamattina aveva mandato un tweet. Diffondete queste foto, non lo faccio per soldi. Lo so, non lo fa per soldi, arabawy, lo fa perché i ragazzi di Tahrir non rimangano senza volto. Sarebbe l’ennesimo crimine commesso oggi, in questi minuti, in queste ore, contro questo Egitto vero, reale, vivo fin quando vivo lo faranno restare.
I nomi, i volti, le voci, le urla. E il loro sangue. Queste parole sono per voi, dalla mia bisaccia.© Invisiblearabs.com
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