Fatti, non parole, Mr. President!

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Se le parole hanno sempre un’importanza fondamentale, solo i gesti danno la possibilità di dimostrare la verità e l’efficacia delle stesse. E’ proprio sulla base di questa abissale differenza ancora una volta scandalosamente riscontrata, che abbiamo letto i commenti alla visita-lampo di Obama in Palestina.
Due giorni dopo aver constatato con la presentazione del nuovo governo, l’ennesimo drammatico allontanarsi di Israele da una volontà di pace sufficiente ad invertire la rotta, e prendendo atto che l’accordo di coalizione rafforza la posizione dei coloni e quindi allontana la pace, abbiamo provato a seguire il presidente Obama nella sua “storica” visita in Terra santa, anzi, in Israele. Sì, perchè alle giornate intere dedicate ad Israele, ha corrisposto una rapidissima toccata e fuga nei Territori Occupati, di appena due ore, compresa la sosta di fede (ci asteniamo da ogni commento) nella Basilica della Natività.

Insomma, anche quando Obama ha parlato della “necessità” di dare alla Palestina dignità di diritti e finalmente uno stato, lo ha fatto in Israele, soprattutto ai giovani dell’Università ebraica di Gerusalemme.
Perfino Gideon Levy, sempre acuto e critico con Israele, è stato conquistato dalle parole inedite del presidente, affermando che “nessun leader americano aveva mai pronunciato un discorso del genere” e per la prima volta Obama “ha parlato di diritto naturale e di giustizia”.
Mentre noi ingenuamente ci chiediamo come mai il giorno dopo nessuno ricordava più quello “storico” discorso, Levy concludeva “Obama è tornato ad essere Obama e anche se non succederà nell’immediato il seme è gettato”.

Siamo andati a rileggere lo storico discorso del Cairo del 2009 ed effettivamente, fermandoci alle affermazioni di principio, anche quello che state per leggere, datato 21 marzo 2013, potrebbe diventare “storico” nei suoi passaggi più espliciti:

“Il diritto del popolo palestinese all’autodeterminazione e alla giustizia deve essere riconosciuto. Mettetevi nei loro panni – guardare il mondo attraverso i loro occhi. Non è giusto che un bambino palestinese non possa crescere in un suo stato e viva con la presenza di un esercito straniero che controlla i movimenti dei suoi genitori ogni giorno. Non è giusto che la violenza dei coloni contro i palestinesi rimanga impunita. Non è giusto impedire ai palestinesi di lavorare nelle loro terre o limitare la possibilità per uno studente di spostarsi all’interno della Cisgiordania, o per le famiglie palestinesi rientrare nelle loro case. Proprio come gli israeliani hanno costruito un loro stato nella loro patria, così i palestinesi hanno il diritto ad essere un popolo libero nella propria terra”. (Discorso all’università ebraica di Gerusalemme)

Complimenti, Mister Obama! Abbiamo sentito scroscianti gli applausi dei giovani israeliani presenti all’Università ebraica di Gerusalemme, ma ci chiediamo se avrebbero applaudito alla tua ipocrisia gli studenti dell’altra Università di Gerusalemme, quella araba, o quelli di Nablus o Hebron.

A noi sembra purtroppo che a quelle importanti parole non abbia corrisposto alcun gesto o richiesta precisa e tantomeno alcuna decisione che fermi la macchina impazzita dell’occupazione e della colonizzazione israeliana.
Anzi, ricamando il suo discorso di usurati slogan ad effetto: “la pace è possibile”… “la pace è necessaria”, Obama ha sottolineato l’incrollabile sostegno e la priorità per l’America: “difendere sempre e comunque la sicurezza di Israele”, ricordando quale resta il primo impegno Usa: “Sono orgoglioso che il lavoro per garantire la sicurezza di Israele non sia mai stato così forte tra gli Stati Uniti e lo stato ebraico: più scambi tra i nostri militari, e un grande programma per aiutarvi a mantenere la vostra capacità operativa e qualitativa nel vantaggio militare. Questi sono i fatti”.
Peccato però, presidente, che non le venga il minimo dubbio che questi “fatti” contraddicano ogni desiderio non solo di pace, ma anche di minimo livello di dignità umana, visto ciò che concretamente sta accadendo mentre lei parla, in ogni villaggio, in ogni casa, in ogni campo profughi, in ogni cuore palestinese e in ogni angolo di Palestina.
Obama ha confermato che non mancherà mai e poi mai l’appoggio degli Usa a qualsiasi scelta di Israele e davvero non basta che arrivi a dire: “Ricordate questo: Israele è il paese più potente in questa regione e ha il sostegno incrollabile del paese più potente del mondo. Israele ha la saggezza di vedere il mondo così com’è, ma anche il coraggio di vedere il mondo come dovrebbe essere.” Non basta vedere come dovrebbero andare le cose, se si finge di non accorgersi che stanno andando drammaticamente all’opposto.
Se ne accorge lui stesso che le sue sono solo parole al vento quando candidamente rinuncia a riprendere il processo di pace: “Gli israeliani devono riconoscere che l’attività di insediamento continuo è controproducente per la causa della pace, e che una Palestina indipendente deve essere praticabile, che i confini reali dovranno essere disegnati. Ho proposto alcuni principi che potrebbero essere la base per dei colloqui di pace, ma per il momento è meglio mettere da parte i piani di pace e il processo di pace. Vi chiedo, invece, di pensare a cosa si può fare per costruire la fiducia tra le persone”.

Nel fiume di parole del presidente, appena un rigagnolo è dedicato alla questione palestinese e, come ricorda il movimento pacifista israeliano Gush Shalom, “abbiamo dovuto aspettare che venisse il presidente degli Usa per ascoltare ciò che nessun poltico aveva detto in mesi di campagna elettorale, cioè che esistono i palestinesi, che abbiamo un partner per la pace e che Israele deve porre fine all’occupazione. La verità è che noi israeliani vogliamo semplicemente dimenticare l’occupazione e gli insediamenti, la pace e i palestinesi”.

Decisamente più realistici, a questo punto, sono stati gli auguri di Pasqua del Patriarca di Gerusalemme, Fouad Twal:
“Invito ancora una volta la comunità internazionale a non limitarsi ai discorsi e alle visite, ma a prendere decisioni concrete ed efficaci per trovare una soluzione giusta ed equilibrata alla causa palestinese, che è all’origine di tutti i problemi del Medio Oriente”.

BoccheScucite

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