Gaza: la poesia come strumento di resistenza

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di Chiara Cartia il 16 giugno 2016

Siamo abituati ad avvicinare Gaza alla morte, ma la poesia è la più grande affermazione intellettuale della vita

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di Ramzy Baroud. Middle East Monitor (14/06/2016). Traduzione e sintesi di Chiara Cartia

“(All’alba)… resisterò.. (Perché) sopra al muro c’è ancora un foglio bianco.. E le mie dita devono ancora dissolversi (del tutto)”. Questo è un verso tradotto da “Tre muri della camera di tortura” di Mu’in Bseiso, che era – e rimane – uno degli intellettuali e poeti più influenti e rinomati di Gaza. Dopo l’occupazione da parte di Israele della Striscia di Gaza nel 1967, ha vissuto in esilio per il resto della sua vita, vagando da un paese all’altro, per poi morire in un hotel di Londra nel 1984.

Ogni fase dell’opera letteraria di Bseiso fa da eco alla lotta portata avanti dai palestinesi nella loro storia moderna. I suoi poemi parlano di amore, di tortura e di muri spogli, dell’esilio, ma è soprattutto il tema della resistenza a spiccare in qualsiasi testo abbia scritto.

Lo spirito di Gaza è lo spirito di Bseiso: bello, poetico, torturato, forte e sempre resistente.

E scrivo questo perché la poesia è di casa a Gaza.

Purtroppo però siamo abituati ad avvicinare Gaza alla morte, non alla vita. La poesia è la più grande affermazione intellettuale della vita perché i grandi poeti non muoiono mai, i loro versi sono robusti come le radici di un antico ulivo palestinese.

Gaza non suscita interesse nel mondo a causa del numero di morti dovuti alle guerre con Israele, per la sua acqua inquinata o perché è sempre meno abitabile, ma perché resiste malgrado tutto.

Non solo resiste, ma vive e, oserei dire, prospera.

Mi chiedo se siamo tutti colpevoli del processo di disumanizzazione di Gaza, quando ci dimentichiamo della propaganda di Israele che cerca di dipingere come terroristi i palestinesi e come criminali e contrabbandieri tutti coloro che scavano tunnel per ottenere cibo e libertà. Sfortunatamente, molti di quelli che appoggiano Gaza sono caduti nella stessa trappola: rinchiudere i suoi abitanti nell’immagine delle vittime perenni, di corpi mutilati, di bambini che muoiono di fame, di case distrutte.

Per sottolineare le violazioni dei diritti umani perpetrate da Israele, alcuni alimentano quella visione che rifiuta di vedere gli abitanti di Gaza come forti, dignitosi, creativi e resistenti.

È vero che le guerre hanno devastato Gaza e l’assedio sta diminuendo la sua capacità di sviluppare il promettente capitale umano di cui dispone, ma non per questo ha rovinato la sua essenza, né sminuito la sua umanità. Gaza rimane un posto di poeti, di artisti, di ballerini didabka, il cui popolo testardo tiene alto lo stendardo della resistenza.

Ramzy Baroud scrive da venti anni sul Medio Oriente, è un editorialista e fondatore di PalestineChronicle.com.

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