Electronic Intifada snocciola dati che rendono ben chiaro il quadro di questo enorme problema dei rifiuti nella Striscia, frutto anche del blocco israeliano.
di Giorgia Grifoni
Gaza, 4 aprile 2013, Nena News – Oltre all’emergenza umanitaria causata dal blocco imposto da Israele, i costanti raid dell’esercito di Tel Aviv e la mancanza di acqua, la Striscia è costretta a fare i conti con un altro imminente disastro: la trasformazione in discarica a cielo aperto. Un allarme lanciato già nel 2009 a seguito dell’operazione “Piombo fuso” e arrivato ora a un punto critico.
Con un ampio reportage sull’argomento, il portale Electronic Intifada snocciola dati che rendono ben chiaro il quadro della raccolta dell’immondizia a Gaza: con la penuria di mezzi di trasporto, la fine dei fondi destinati alla nettezza urbana, la concentrazione dei rifiuti di più di un milione e mezzo di persone nelle tre discariche esistenti in 360 km quadrati, la contaminazione delle falde acquifere e i continui attacchi israeliani che limitano i movimenti e la manutenzione, la raccolta appare quasi inesistente. E lo sarebbe, se non ci fossero quei 250 carri al giorno trascinati dagli asini.
La sola municipalità di Gaza City produce giornalmente circa 700 tonnellate di rifiuti. La metà è trasportata dai carretti a trazione animale, l’altra metà dai pochi mezzi a disposizione. Per i quali, però, i fondi sono finiti alla fine di febbraio. Non ne verranno erogati altri almeno fino a giugno. E in questo lasso di tempo è la Cooperazione italiana che ha garantito il denaro. Ma non basta.
Dei 75 camion a disposizione a Gaza per la raccolta, circa la metà è inutilizzabile. Le parti mancanti non possono essere sostituite a causa del blocco israeliano – giunto ormai al sesto anno – che vieta l’introduzione nella Striscia di tutti i materiali da costruzione. “Ci si arrangia con i tunnel dall’Egitto – spiega Abdel Rahem Abdulkumboz, assessore comunale per la salute e l’ambiente – ma i pezzi sono cari e non sono garantiti”. Sono cinque anni che la città di Gaza aspetta 22 camion in provenienza da Ramallah ma, come conferma il rapporto 2012 della Banca Mondiale “sono fermi in Cisgiordania da tre anni perché non hanno ancora ottenuto i necessari permessi dalle autorità israeliane”.
C’è soprattutto il problema delle discariche, nella Striscia. Sono disposte tutte e tre a ridosso della linea verde, lungo il confine con Israele. Che è una zona off-limits per i palestinesi. E’ quella in cui si compiono le incursioni dell’esercito israeliano e che rendono impossibile la manutenzione dei centri di raccolta. Nella discarica di Beit Hanoun, ad esempio, l’anno scorso l’IDF ha sparato contro un camion dell’immondizia che si trovava a 150 metri dal confine. Perché, come conferma un portavoce dell’esercito, i palestinesi non possono avvicinarsi a meno di 300 metri dalla linea verde. E solo una discarica su tre – quella di Deir al-Balah – dispone di impianti a norma.
Il resto lo fanno gli attacchi di Tel Aviv. I quali, oltre a provocare morti e feriti tra i civili, uccidono animali che non fanno in tempo a essere sgomberati e marciscono sotto al sole cocente. Solo durante l’operazione “Piombo fuso” del 2008-2009, più di 32.000 carcasse di pecore e capre sono state lasciate in putrefazione per giorni prima di essere portate via. La distruzione delle case provoca spargimenti di sostanze varie, tra le quali l’amianto, che contamina le falde acquifere. Dulcis in fundo, ci sono i rifiuti tossici provenienti dalle bombe e dalle granate israeliane. E i lunghi periodi di tagli all’elettricità causati dai bombardamenti danno il colpo di grazia ai pochi inceneritori ancora esistenti.Nena News
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