Superpotenza immorale. Chi usa armi illegali venga punito!
di Gideon Levy
Certo, Israele non è la Siria… ma tutti sappiamo che Israele ha già usato armi proibite dal diritto internazionale – al fosforo bianco e serie di flechette contro una popolazione civile di Gaza, e munizioni a grappolo in Libano – e il mondo non ha alzato un dito. E poche parole servono per descrivere le armi di distruzione di massa usate dagli Stati Uniti, dalle bombe nucleari in Giappone al napalm in Vietnam. (…)
Ma la Siria, naturalmente è una questione diversa. Dopo tutto, nessuno può seriamente pensare che un attacco americano al regime del presidente Bashar Assad nasca da considerazioni morali. Circa 100.000 morti in quello sfortunato paese non hanno convinto il mondo all’azione, e solo il report di 1.400 uccisi da armi chimiche – cosa che non è ancora stata definitivamente dimostrata – stanno risvegliando il travolgente esercito della salvezza del mondo ad agire.
Né qualcuno può sospettare che la maggior parte degli israeliani che sostengono un attacco – il 67 per cento, secondo un sondaggio condotto dal quotidiano Israel Hayom – sono animati dalla preoccupazione per il benessere dei cittadini della Siria. Nel forse unico paese al mondo in cui la maggior parte dell’opinione pubblica sostiene un attacco, il principio guida è completamente estraneo: Colpite gli arabi, non importa il motivo, importa solo quanto – un sacco.
Né qualcuno può seriamente pensare che gli Stati Uniti sono una “superpotenza morale”, come Ari Shavit lo ha definito. Il paese responsabile per il maggior spargimento di sangue dalla seconda guerra mondiale – dicono alcuni che ha ben 8 milioni di morti nelle sue mani – nel Sud-Est Asia, Sud America, Afghanistan e Iraq – davvero non può essere considerato una ” Potenza morale”.
Da Internazionale Settembre 2013
Chi legittima la politica coloniale
di Luisa Morgantini
La ripresa dei negoziati tra palestinesi e israeliani, imposta dall’Amministrazione Usa, oltre che da pressioni Onu e Ue, rivela ulteriormente la complicità delle parti in campo a livello internazionale con la politica coloniale israeliana.
Tra i diplomatici tutti sanno e ammettono che Israele è andata al tavolo dei negoziati per prendere tempo e condurre in modo sempre più deciso la colonizzazione dei territori.
L’Unione Europea negli ultimi tempi, assumendo le linee guida che vietano commercio e cooperazione con chi opera nelle e con le colonie israeliane nei territori palestinesi, ha tentato per la prima volta una strada concreta per far pagare a Israele un prezzo per l’occupazione militare. Bruxelles ha riaffermato che lo Stato di Palestina è sui territori occupati del 67 compresa Gerusalemme Est. Tzipi Livni, negoziatrice, risponde sprezzantemente che «non può essere l’Ue a determinare i confini, ma il negoziato tra palestinesi e israeliani». Un negoziato che avviene in una totale asimmetria di potere visto l’appoggio incondizionato degli Usa e l’impunità di Israele per tutte le violazioni dei diritti umani e del diritto internazionale.
Il punto è che Israele da quando ha dichiarato lo Stato d’ Israele nel 1948, non ha mai definito una costituzione e dei confini, rivelando che da sempre la sua politica è quella di annettersi più territorio possibile e realizzare il sogno che forse Rabin, se non fosse stato ucciso da un fanatico ebreo, avrebbe interrotto, quello della grande Israele, Eretz Israel.
Perché sorprendersi quindi se il Ministro israeliano per le case Uri Ariel, il Sindaco di Gerusalemme Nir Barkat con l’approvazione del Primo Ministro pubblicano gare d’appalto per la costruzione di 87 unità abitative nella colonia di Ramat David e 1.200 nelle principali colonie intorno a Gerusalemme e se gli stessi, domenica scorsa sui terreni del Villaggio Jabal Al Mukkaber, hanno messo la prima pietra per la costruzione di 36 nuove unità abitative per i coloni religiosi ortodossi, togliendo ai palestinesi residenti la possibilità di passare dalla strada principale e costringendoli così a un percorso impervio.
Il Manifesto 13 agosto 2013
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