tratto da: Beniamino Benjio Rocchetto
Un attivista studentesco palestinese che era nella lista dei ricercati dello (Gestapo Sionista) è stato ucciso a colpi di arma da fuoco durante una manifestazione a maggio. La risposta dell’IDF: “È stata avviata un’indagine di polizia militare”.
Di Gideon Levy e Alex Levac– 8 luglio 2021
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Fadi Washaha era ricercato dalle forze di sicurezza israeliane da circa un anno. Apparentemente non era una figura di spicco: prendeva precauzioni ma di tanto in tanto tornava a casa e talvolta ci dormiva pure. Ha detto agli agenti di sicurezza dello Shin Bet che lo seguivano che si sarebbe costituito dopo aver completato gli esami universitari: a causa dei suoi arresti e delle sue incarcerazioni, i suoi studi si sono protratti per molti anni. Ma le forze di sicurezza avevano piani diversi e decisero di porre fine al gioco del gatto e del topo con Washaha. Il Giorno della Nakba, il 15 maggio, mentre partecipava a una manifestazione in piazza al-Manara all’ingresso nord di El Bireh, adiacente a Ramallah, è stato colpito alla testa, da una distanza di circa 100 metri, e ucciso.
La sua famiglia, i testimoni oculari e Iyad Hadad, un ricercatore sul campo per l’organizzazione israeliana per i diritti umani B’Tselem, che ha indagato sull’incidente per diverse settimane, sono convinti che le forze di sicurezza abbiano approfittato della partecipazione di Washaha alla manifestazione per assassinarlo, perché era un ricercato che non ha ottemperato alla richiesta dello Shin Bet di costituirsi. La scorsa settimana, infatti, un agente dello Shin Bet noto come “Abu Noor”, lo stesso agente che si occupava del caso di Washaha, è stato registrato mentre minacciava implicitamente il fratello di un altro ricercato, Abu Jalis, del campo profughi di Jalazun, secondo cui Abu Jalis avrebbe subito un destino simile a quello di Washaha se non si fosse costituito.
“Hai sentito di Fadi Washaha?”, chiese l’agente Abu Noor a Mohammed, il fratello, che rispose: “Vuoi dire che stai progettando di uccidere mio fratello?” L’agente riattaccò.
Washaha, 24 anni, proveniva da una famiglia numerosa di Bir Zeit. È stato arrestato per la prima volta nel 2014, con l’accusa di aver partecipato con suo cugino, Muataz, alla sparatoria nel posto di blocco di Atara vicino a Ramallah. Muataz fu assassinato dalle truppe, che assediarono la sua casa; Fadi fu condannato da un tribunale militare a cinque anni di prigione. Dopo il suo rilascio, Fadi tornò agli studi di scienze politiche presso l’Università Bir Zeit, dove divenne attivo anche nel sindacato studentesco per conto dell’organizzazione Fatah. Ha subito un intervento chirurgico alla colonna vertebrale per i danni alla schiena dovuti alle torture patite durante l’interrogatorio in prigione.
Nel novembre 2019, mentre partecipava a una manifestazione contro l’occupazione all’incrocio di piazza Manara, è stato colpito al volto da un proiettile di gomma. Una fotografia in cui è visto per terra sanguinante e ammanettato, con un poliziotto di frontiera in piedi davanti a lui, è stata pubblicata in tutto il mondo. Non è un’immagine facile da guardare: il suo viso e le sue mani intrise di sangue, è in ginocchio a terra, una kefiah macchiata di sangue intorno al collo, tutto questo si somma a uno spettacolo umiliante e degradante. I medici della Mezzaluna Rossa sono riusciti a sottrarlo alla custodia della polizia e a portarlo in ospedale, dove gli è stato riscontrato avere dei frammenti di metallo nella testa.
Da quel momento era una persona ricercata. Le Forze di Difesa di Israeliane e lo Shin Bet hanno inviato diverse unità a casa sua nel cuore della notte per arrestarlo, ma senza trovarlo. All’inizio del 2020, quando è scoppiata la pandemia di coronavirus, la famiglia pensava che le forze di sicurezza israeliane lo avrebbero lasciato in pace. Fadi tornò all’Università e al suo ruolo di attivista politico. Ma lo scorso 9 gennaio, l’IDF, insieme ad “Abu Noor”, si è presentato a casa sua per arrestarlo, ancora una volta senza alcun risultato. Tornarono l’8 marzo mancandolo nuovamente. Questa volta convocarono i suoi tre fratelli: Rami, 49, Nadi, 41, e Moussa, 35, al centro di detenzione di Ofer per costringerli a consegnare Fadi. Abu Noor ha anche chiamato spesso Fadi per chiedergli di presentarsi per essere interrogato. L’agente ha promesso, come fanno sempre gli agenti dello Shin Bet, che si trattava di una questione di poco conto e che sarebbe stato rilasciato velocemente.
L’ultima volta che Abu Noor ha chiamato Washaha, lo ha minacciato, dicendo che quello era l’ultimo messaggio telefonico: “Se non ti costituisci, il tuo fascicolo sarà trasferito alle unità speciali”. Fadi e la sua famiglia si resero conto che questa era una minaccia esplicita alla sua vita.
Hadad, il ricercatore sul campo di B’Tselem, ha ascoltato una registrazione della conversazione tra Washaha e l’agente dello Shin Bet. I due sembravano vecchi conoscenti. “Perché non sei venuto?” chiese l’israeliano. “Senti, Abu Noor,” disse Washaha, “perché non mi lasci in pace. Toglimi dai tuoi pensieri e fammi finire i miei studi. Ho sofferto abbastanza per le torture in custodia, e so che se vengo li sarò arrestato. Fammi finire gli studi e poi mi costituirò all’Autorità Palestinese”.
Ma Abu Noor insisteva: “Devo chiudere il tuo fascicolo. Se non ti presenti, il tuo caso non sarà più gestito da me e tu capisci cosa significa. D’ora in poi è una tua responsabilità.”
Da quel momento, Fadi ha temuto per la sua vita. Ma quando a maggio sono scoppiati i combattimenti tra Israele e Hamas nella Striscia di Gaza, ha sentito il bisogno di dimostrare solidarietà ai suoi fratelli nella Striscia, nonostante il pericolo che ciò comportava per lui. Il 15 maggio, il Giorno della Nakba, si è recato all’incrocio con piazza Manara, il principale centro delle manifestazioni nella zona di Ramallah.
Un minaccioso monumento di cemento, sormontato da un’enorme bandiera palestinese, si erge al centro di questa vivace piazza. A nord si trovano gli uffici dell’Unità di Coordinamento e Collegamento di Israele e della sua Amministrazione Civile. La manifestazione era indetta per le 16:30, ma Fadi è arrivato in anticipo con il gruppo di avanscoperta che va sempre a controllare le forze che l’IDF ha inviato e ad organizzare la logistica sul posto. Quando è arrivato, dopo le 2 del pomeriggio, c’erano già alcune decine di giovani, in vista della grande manifestazione.
Tre piccoli gruppi di soldati erano sparsi sulle alture rocciose che dominavano la piazza. Il terreno qui è disseminato di barriere di cemento, dietro le quali i soldati si riparano dalle pietre lanciate contro di loro, una scena che si è svolta il Giorno della Nakba quando il gruppo di avanscoperta dei manifestanti ha iniziato a fare proprio questo. Occasionalmente i soldati hanno sparato contro di loro gas lacrimogeni e proiettili di gomma. Nessuno è rimasto ferito. Verso le 16:00 Fadi e alcuni suoi amici stavano riposando sotto un albero, in attesa dell’arrivo di un folto gruppo di manifestanti che si erano organizzati in un’altra piazza, a circa 500 metri di distanza, intitolata alla casa farmaceutica Al-Quds la cui sede aziendale è adiacente.
Testimoni oculari, tra cui uno dei fratelli di Fadi, che ha chiesto di non essere menzionato per nome, hanno detto al ricercatore sul campo Hadad che a un certo punto hanno notato un mezzo dell’esercito che era arrivato al posto di comando dei soldati su una delle colline vicine. Tre soldati sono entrati nel veicolo, che li ha portati giù per la collina verso un’altra postazione dell’esercito, più vicina alla piazza. La manifestazione principale non era ancora iniziata e le cose erano relativamente tranquille.
Ma subito dopo il loro arrivo i tre soldati, che ormai si trovavano a circa 100 metri da Fadi e dagli altri, hanno iniziato a sparare proiettili veri. Un testimone ha sentito tre colpi, un altro ne ha sentito solo uno. In ogni caso, a quanto pare hanno mirato a Fadi, nonostante la distanza e il fatto che ci fossero manifestanti più vicini a loro. Mentre i manifestanti correvano per salvarsi la vita, uno ha gridato agli altri di sdraiarsi a terra. Testimoni oculari hanno visto anche Fadi a terra ma non si sono accorti che era già stato ferito a morte da colpi di arma da fuoco. Hadad dice di essere certo che i soldati mirassero esclusivamente a lui. Pensa anche che i soldati e il personale dello Shin Bet abbiano seguito i movimenti di Fadi durante le sue due ore alla manifestazione e abbiano aspettato il momento giusto per eliminarlo.
Improvvisamente si udì un grido: “Shahid! Shahid!”(Martire! Martire!). Il proiettile aveva colpito Fadi sul lato destro della testa proprio mentre si stava girando, ed era uscito dal lato sinistro, tutto in una frazione di secondo. Parte del suo cervello è fuoriuscito. È arrivato all’Ospedale Governativo di Ramallah in stato di morte cerebrale. Poco dopo Abu Noor chiamò uno dei fratelli di Fadi e disse: “Questa volta diremo ‘Allah yerhamo’ (Dio benedica la sua anima) per Fadi”. Il fratello chiese chi stesse parlando, ma la voce in linea, che era certo fosse Abu Noor, disse solo: “Ti ho avvertito molte volte, ma non hai ascoltato”. Il fratello ha riattaccato. Il chiamante ha telefonato di nuovo e ha ripetuto che aveva chiesto loro molte volte di consegnare Fadi. “Non sei umano”, ha detto il fratello. “Vai a Gaza e mostra quanto sei forte bombardando persone indifese”, ha detto furioso e ha riattaccato.
L’Unità del Portavoce dell’IDF ha emesso la seguente dichiarazione in risposta all’uccisione di Washaha e alle accuse di averlo preso di mira deliberatamente per assassinarlo: “Sabato 15 maggio, vicino a Ramallah, si è svolta una violenta rivolta. Circa 1.500 palestinesi hanno preso parte ai disordini, che sono continuati per molte ore. Sono avanzati verso un’arteria stradale centrale e hanno lanciato pietre contro la strada e contro i soldati dell’IDF. A seguito di un rapporto su un palestinese che sarebbe stato ferito nell’incidente e che è morto per le ferite riportate due settimane dopo, è stata avviata un’indagine della polizia militare. Alla sua conclusione, i risultati saranno trasferiti per l’esame all’ufficio dell’avvocato generale militare. Poiché l’indagine è ancora in corso, non è possibile fornire ulteriori dettagli”.
Lo Shin Bet ha risposto: “Fadi Washaha era ricercato da tempo a causa del suo coinvolgimento in una lunga serie di scontri violenti nella regione di Ramallah. “Fadi è stato ucciso nel distretto di Giudea e Samaria in piazza Manara a Ramallah mentre partecipava a gravi disordini e scontri violenti con le forze dell’esercito. “Le circostanze della sua morte nella violenta uccisione sopra descritta non sono legate ai precedenti tentativi di arrestarlo”.
Fadi è stato ricoverato in terapia intensiva ed è morto il 2 giugno. Suo fratello Moussa, un cantante di matrimoni muscoloso e imponente, ci ha raccontato questa settimana che il padre di famiglia, morto tempo fa, era un vetraio che ha lavorato 35 anni per lo stesso vetraio ebreo nel mercato Mahane Yehuda di Gerusalemme.
Fadi aveva dormito a casa la notte prima che gli sparassero e ha chiesto a sua madre di svegliarlo a mezzogiorno in modo che potesse partecipare alla manifestazione del Giorno della Nakba. Gli piaceva disegnare e nei suoi anni di prigione fece ritratti dei suoi amici. Era anche il barbiere della prigione. La sera del giorno in cui fu ucciso, la sua famiglia aveva programmato di visitare la donna che sperava di sposare, per chiederne la mano. Moussa è convinto al di là di ogni dubbio che suo fratello sia stato vittima di un omicidio a sangue freddo.
Gideon Levy è editorialista di Haaretz e membro del comitato editoriale del giornale. Levy è entrato in Haaretz nel 1982 e ha trascorso quattro anni come vicedirettore del giornale. Ha ricevuto il premio giornalistico Euro-Med per il 2008; il premio libertà di Lipsia nel 2001; il premio dell’Unione dei giornalisti israeliani nel 1997; e il premio dell’Associazione dei Diritti Umani in Israele per il 1996. Il suo nuovo libro, La punizione di Gaza, è stato pubblicato da Verso.
Alex Levac è diventato fotografo esclusivo per il quotidiano Hadashot nel 1983 e dal 1993 è fotografo esclusivo per il quotidiano israeliano Haaretz. Nel 1984, una fotografia scattata durante il dirottamento di un autobus di Tel Aviv smentì il resoconto ufficiale degli eventi e portò a uno scandalo di lunga data noto come affare Kav 300. Levac ha partecipato a numerose mostre, tra cui indiani amazzonici, tenutesi presso l’Università della California, Berkeley; la Biennale israeliana di fotografia Ein Harod; e il Museo di Israele a Gerusalemme. Ha pubblicato cinque libri.

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