GOLFO. Le pattuglie di Trump tra Hormuz e Bab al-Mandab

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11 lug 2019

Washington annuncia il progetto di una coalizione militare che sorvegli i due stretti da cui passa buona parte del greggio mondiale. E il Regno Unito accusa l’Iran di aver tentato di bloccare una petroliera britannica. La tensione bellica contro Teheran aumenta

La nave da guerra della marina britannica Hms Montrose (Foto: Royal Navy)

di Chiara Cruciati

Roma, 11 luglio 2019, Nena News – Il Golfo è incandescente. Ogni giorno il livello di tensione sale: a soffiare sul fuoco è l’amministrazione Trump intenzionata da mesi a trovare il giusto casus belli per scatenare un conflitto con l’Iran che non sia più solo relegato alla sfera diplomatica e finanziaria.

Ieri la Casa Bianca ha annunciato l’intenzione di dare vita a una coalizione militare di Stati per pattugliare il Golfo Persico e in particolare i due punti più strategici: lo Stretto di Hormuz, vicino alle coste iraniane, e lo Stretto di Bab al-Mandab, a sud dello Yemen. Dal primo transita un quinto delle esportazioni mondiali di greggio, dal secondo le petroliere che dalle petromonarchie si dirigono in Europa passando per il Canale di Suez.

Un pattugliamento congiunto, dice Washington, per evitare che Teheran conduca attacchi contro i cargo petroliferi. Da settimane l’amministrazione Trump insiste, pur non avendo prove, che i presunti sabotaggi a petroliere sia europee che regionali siano stati orditi dalle Guardie rivoluzionarie. Ad annunciare il progetto di coalizione è stato Joseph Dunford, generale della marina militare Usa e capo dello Stato maggiore congiunto: “Ci stiamo impegnando ora con un certo numero di paesi per vedere se possiamo mettere insieme una coalizione che assicurerà la libertà di navigazione nello Stretto di Hormuz e di Bab al-Mandab”.

E la tensione sale. Oggi è andata in scena una nuova puntata della saga della guerra petrolifera: la Gran Bretagna ha accusato l’Iran di aver tentato, con tre navi da guerra (cinque secondo Washington), di impedire il transito di una petroliera britannica nel Golfo, la British Heritage, costringendo la nave da guerra Hms Montrose a intervenire. Fatto che Teheran nega con forza: “Non c’è stato alcun confronto nelle ultime 24 ore con nessuna imbarcazione straniera, incluse britanniche”, si legge nella nota delle Guardie rivoluzionarie. Che aggiungono: se avessimo voluto confiscare una nave, lo avremmo fatto “immediatamente e velocemente”. “Apparentemente il cargo britannico è passato – ha detto il ministro degli Esteri Zarif all’agenzia stampa Fars – Quello che hanno detto e le accuse che hanno mosso sono volte a creare tensioni, queste accuse non hanno valore”.

A monte sta la confisca, una settimana fa, da parte delle autorità di Gibilterra con l’aiuto dei marines di sua maestà della Grace 1, petrolifera iraniana diretta al porto siriano di Tartous con a bordo due milioni di barili di greggio. Per Londra, una violazione dell’embargo europeo che vige da anni contro il governo damasceno del presidente Bashar al-Assad. Una confisca che ha fatto infuriare Teheran che di nuovo ieri, con il presidente Rouhani, ha minacciato “conseguenze”. Un’escalation che, in mezzo, aveva visto l’abbattimento di un drone-spia statunitense proprio nello Stretto di Hormuz da parte dei pasdaran.

Interviene a stretto giro l’amministrazione Usa, seppur ufficiosamente. Funzionari statunitensi hanno affermato che l’incidente con la British Heritage sarebbe avvenuto all’ingresso settentrionale di Hormuz: “La Hms Montrose della Marina reale, che era lì, ha puntato le armi alle navi [iraniane] e le ha avvertite via radio, per cui si sono disperse. E’ stato un tentativo di interferire con il suo passaggio”. E da Londra la premier uscente Theresa May e il ministro degli Esteri Jeremy Hunt si sono detti molto “preoccupati dall’azione” e chiesto “alle autorità iraniane di spegnere la tensione nella regione”.

Tensione che però sono gli alleati oltreoceano ad accendere, con una nuova ondata di sanzioni economiche e con la più recente minaccia di portare a zero le esportazioni iraniane di petrolio. La bellicosità trumpiana contro Teheran ha raggiunto l’apice, dopo anni di disgelo grazie all’accordo sul nucleare firmato nel 2015 dal 5+1 (di cui gli Usa di Obama erano parte) e l’Iran. Le pressioni che sono seguite all’elezione di Trump alla presidenza degli Stati Uniti hanno costretto il governo iraniano a rivedere tutte le ambizioni di apertura economica e commerciale che il popolo chiede: i contratti miliardari con compagnie di mezzo mondo sono congelati o cancellati, il valore della moneta crolla e la disoccupazione resta alta. Da cui la decisione di rompere, di fare altrettante pressioni sui partner rimasti dentro l’accordo dopo l’uscita statunitense.

Gli ultimatum dello scorso mese e la sospensione di alcuni, centrali, punti dell’intesa – il superamento del limite di scorte di uranio arricchito e quello del 3% di arricchimento – sono visti da Teheran come il modo migliore per spingere l’Europa a rispettare l’accordo bypassando le sanzioni di Trump e, di fatto, rendendole nulle. Ma dalle capitali europee, al di là delle dichiarazioni, non arriva molto. Il sistema Instex resta fumoso e la pazienza iraniana è giunta a scadenza. Nena News

 

 

GOLFO. Le pattuglie di Trump tra Hormuz e Bab al-Mandab

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