admin | February 21st, 2011 – 11:07 am
Chiamare guerra civile quella che sta succedendo a Libia mi sembra improprio. E’ vero che le informazioni sono frammentarie, è vero che non c’è la stampa internazionale e leggere in maniera più o meno neutrale gli avvenimenti, ma tutto ciò che esce dalla Libia, dai medici che parlano con Al Jazeera ai messaggi rimbalzati dagli esuli libici, parla di una sollevazione popolare che si tenta di reprimere nel sangue. Sparando indiscriminatamente sulla folla oppure usando mercenari dall’Africa subsahariana. Io non la definirei guerra civile… Ed è peraltro questo che lega le rivolte (ormai sempre più spesso rivoluzioni) arabe del 2011. Sollevazioni popolari a cui i regimi all’inizio rispondono chiudendo i rubinetti della poca informazione che circola, poi reprimendo con l’uso della polizia e delle forze di sicurezza che controllano.
Comunque, tornando a parlare di Libia, sino a ieri era la Cirenaica il cuore della rivolta. Regione storicamente ribelle. Ma l’area tripolina – quella più sotto il diretto controllo del regime di Gheddafi – non è rimasta impermeabile. Anzi. E’ già da ieri sera che nella capitale vengono rimbalzate all’estero notizie di scontri. A fare un gran lavoro è un gruppo di giovani che si definisce – appunto – Shabab Libya. E’ possibile seguirli su twitter, ma anche sul loro sito, http://www.libyafeb17.com/, dove sono anche indicate, oggi, rivendicazioni e background per capire qualche cosa di più di quello che sta avvenendo proprio a ovest dell’Egitto.
Intanto, ecco la cronaca che ho scritto per i giornali locali del Gruppo Espresso-Repubblica, e che trovate oggi in giro per l’Italia. Per loro, sto seguendo le rivoluzioni arabe da settimane.
Bengasi – da ieri sera – potrebbe essere sotto il controllo degli oppositori al regime quarantennale del colonnello Muammar Gheddafi. Non è possibile avere il conforto di fonti indipendenti, ma la notizia è stata rilanciata dai testimoni che vivono nella seconda città della Libia. Video e foto pubblicati su internet mostrano i manifestanti che festeggiano e pregano per le strade. Un’atmosfera del tutto diversa da quella della stessa domenica mattina, quando i funerali delle decine di vittime uccise dalle forze di sicurezza fedeli a Gheddafi sono stati di nuovo segnati da un altro massacro. Quando il corteo funebre è passato vicino alla caserma di Birka – questo il racconto di uno degli abitanti di Bengasi – i militari hanno cominciato a sparare sulla folla, indiscriminatamente.
La conta dei morti, tutta affidata alle notizie che arrivano dai medici dei diversi ospedali della città, parla di centinaia di vittime. I morti sarebbero più di 200 nella sola Bengasi, ma si parla anche di 500 vittime. Mentre i feriti – di cui molti in gravi condizioni, colpiti da proiettili anche di grande calibro – sarebbero centinaia e centinaia. Ancora sangue, dunque, e ancora sangue concentrato a Bengasi, capoluogo della Cirenaica, cuore da sempre dell’opposizione a Gheddafi ma anche regione che diede i natali al più grande eroe contemporaneo arabo. Omar al Mukhtar, l’eroe che combatté il colonialismo italiano, il ‘leone del deserto’ interpretato in un film di trent’anni fa – censurato nel nostro paese – da Anthony Quinn. Anche stavolta, dunque, è la Cirenaica che insorge. Perché non è solo Bengasi ad aver sfidato il potere di Gheddafi, ma una parte importante della Libia orientale.
Le notizie frammentarie, ancora una volta diffuse attraverso internet, dicono che dal pomeriggio Bengasi sia, almeno al centro, sotto il controllo degli insorti, ai quali si è aggiunta almeno una brigata dell’esercito libico, la brigata Saika, che avrebbe aperto la caserma di Al Birka.
Nel pomeriggio di domenica la Libia sembrava ancora spaccata in due, con l’est del paese sempre più coinvolto dalla rivolta contro il Colonnello. A ovest, a Tripoli, il potere di Gheddafi cerca di controllare le strade, dove negli scorsi due giorni si erano svolte solo manifestazioni di poche migliaia di persone a favore dell’autore del Libro Verde. A sera, però, si sono sentiti molti colpi di arma da fuoco proprio nella capitale. La rivolta è infatti arrivata all’area tripolina. A Zawya, a una cinquantina di chilometri di distanza, è stato dato fuoco a una casa di Gheddafi, e il tam tam degli esuli libici parla di manifestanti che dalla stessa Zawya, e da altre località dell’ovest del paese si stavano spingendo verso la capitale.
A rendere più difficile la posizione di Gheddafi in un paese che si regge su un delicato equilibrio tribale, è la notizia che la più importante tribù, quella dei Wirfalla, si sia unita all’opposizione. Potrebbe non essere la sola tribù ad abbandonare Gheddafi, mentre segni di cedimento del potere cominciano a vedersi. L’ambasciatore libico presso la Lega Araba si è dimesso, e la figura più di spicco dell’islam libico, Sheikh Sadiq Al Ghernay, ha dichiarato che protestare in Libia, ora, è divenuto un obbligo per i fedeli musulmani. Il colonnello Gheddafi, per il momento, tace. Sia la dimensione pubblica sia il rapporto con i paesi europei è stato delegato a suo figlio Seif, che sino a pochi giorni fa era considerato il suo erede.
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