admin | February 14th, 2012 – 2:58 pm
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Non è la prima volta che le differenze di opinione dentro Hamas vanno oltre gli argini della discussione interna. E arrivano al pubblico. Il caso più eclatante fu nel 2007, subito dopo il coup con il quale Hamas prese il controllo totale della Striscia. Ghazi Hamad, uno dei più importanti esponenti dell’ala pragmatica, si dimise da portavoce del governo presieduto da Ismail Haniyeh, il primo governo di Hamas e poi il breve governo di unità nazionale. Era contro il coup, e in quegli stessi giorni filtrò una lunga, complessa lettera di Hamad (che lui non ha mai smentito) in internet. Spiegava perché quello era un errore madornale.
Per il resto, fuori da microfoni e telecamere, dentro Hamas si discute. Eccome. Nel corso degli anni, tutti coloro che ho intervistato mi hanno descritto allo stesso modo il processo decisionale. C’è un argomento, ci sono diverse linee, si discute, si mette a votazione. E le quattro constituency (Gaza, Cisgiordania, diaspora, prigioni) decidono collegialmente la linea da seguire. Come nel più classico processo decisionale dei partiti di massa, soprattutto quelli comunisti, anche i contrari si adeguano alla linea che ha ottenuto la maggioranza.
Dunque, la vera notizia riguardo alla Dichiarazione di Doha non è che ci siano diverse posizioni dentro Hamas. Ci sono sempre state, e lo dimostra quanto è filtrato delle decisioni prese su alcuni argomenti importanti. Primo tra tutti, la partecipazione alle elezioni politiche del 2006. La vera notizia è che stavolta le constituency non sembrano essere state consultate per decidere se aderire all’accordo mediato dal Qatar (e dalla Giordania?). C’era troppo poco tempo per mettere in piedi la macchina della consultazione delle constituency, soprattutto dopo la chiusura dell’ufficio politico a Damasco? Oppure i mediatori premevano per un accordo veloce? La struttura di Hamas non ha avuto voce in capitolo, questo è comunque il risultato. Lo dice a chiare lettere, nelle interviste rilasciate in questi giorni, uno della vecchia guardia come Mahmoud A-Zahhar. Conservatore, sì, ma soprattutto uno di quelli che non vuole deviare dal modo in cui, sinora, Hamas ha preso decisioni. Lo conferma, anche da una posizione decisamente diversa, Ahmed Youssef, che dice – sempre nelle interviste che sono uscite in questi giorni – che le divergenze si supereranno.
Il fatto è che, nonostante non si dica, i tanti eventi degli ultimi anni stanno cambiando lo stesso processo decisionale interno a Hamas. Non tanto e non solo il Secondo Risveglio arabo, che ha colpito in primis la diaspora, e in seconda battuta sta influendo su Gaza. E’ soprattutto il ruolo dell’ala militare dentro Gaza a influire sul modo in cui Hamas prende le decisioni. Come se, non riconosciuta, vi fosse ormai una quinta constituency, dentro il movimento islamista. Un’altra componente chiamata a dire la sua sulla linea politica, quando almeno sino al 2006 – e dunque per i primi vent’anni di esistenza di Hamas – l’ala militare non aveva voce in capitolo.
Il sequestro di Gilad Shalit (e le modalità del suo rilascio, dopo quattro anni dal suo rapimento) segna l’evoluzione della struttura interna di Hamas. Nei fatti, il rapimento di Shalit è un passo che incide nella riconciliazione nazionale, prima ancora che nei rapporti tra palestinesi e israeliani. Il tentativo di conciliazione tra le diverse anime politiche palestinesi, organizzato dai prigionieri con il loro Documento Nazionale, viene in gran parte abortito dalla cesura rappresentata dal sequestro di Shalit. Così come è l’ala militare a decidere (anche se, forse, all’ultimo minuto) la presa del potere a Gaza.
Anche in questo caso, dunque, anche nella Dichiarazione di Doha, c’è il convitato di pietra. Che si vede poco, ma della cui presenza si sa dalle poche indiscrezioni filtrate all’esterno. L’ala militare non è tutta contro, sembra. Così come non tutta Gaza è contro l’accordo. Così come non è detto che l’assenza di Moussa Abu Marzouq alla firma di Doha significhi che il numero due (e forse futuro numero uno) del bureau politico di Hamas sia contrario. C’è ancora troppa confusione, troppe notizie, troppe indiscrezioni, perché si possa veramente dire chi appoggia e chi è contro l’accordo di Doha.Oggi, per esempio, Ismail Radwan, un altro dirigenti di Hamas, chiede a Mahmoud Abbas di mettere in pratica, rapidamente, l’intesa raggiunta pochi giorni fa.
Per ora, l’unica notizia di rilievo è che Ismail Haniyeh, da Teheran, non è tornato a Gaza, ma è volato a Doha per incontrare Khaled Meshaal. Il che la dice anche lunga sui nuovi equilibri interni. A fare la differenza, forse, non saranno tanto le promesse di finanziare la ricostruzione di Gaza, ma la realizzazione delle promesse. Perché, com’è successo negli ultimi anni, non rimangano solo sulla carta. Per Gaza, sia per la popolazione sia per il consenso a Hamas, è un passo fondamentale. E a questo la constituency di Gaza on rinuncerà, perché ne va del suo controllo del territorio.
La foto è di Eduardo Castaldo.
Per la playlist, Les lions, dei Radiodervish.
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