I beduini all’ONU per salvarsi da Israele

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Eid Jahalin, rappresentante delle comunita’ beduine in Cisgiordania, va al Palazzo di Vetro per evitare il nuovo piano di ricollocamento disegnato da Tel Aviv.

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 martedì 11 giugno 2013 08:44

Bedouins from the Jahalin tribe with their sheep near  Maale Adumim

di Lucy Westcott – The Electronic Intifada

New York, 11 giugno 2013, Nena News – Per migliaia di anni, il popolo beduino ha vissuto in Palestina. Da circa 60 anni, i beduini palestinesi sono stati ripetutamente trasferiti per fare spazio alle colonie israeliane.

I beduini combattono da anni per essere riconosciuti da Israele come popolo indigeno e Eid Jahalin, 49 anni, residente nell’area di Gerusalemme, porta la loro causa in giro per il mondo. Jahalin ritiene che “una terra senza popolo” sia l’unico target israeliano, mentre la vasta esperienza beduina della vita nel deserto, praticata da secoli e cruciale a preservare i cambiamenti climatici, rischia di essere persa.

Lucy Wescott ha parlato con Eid Jahalin nella sua ultima visita a New York, alle Nazioni Unite.

Quali sono gli ultimi sviluppi riguardo la ricollocazione dei beduini da parte del governo israeliano?

Il governo israeliano sta continuando con le stesse proposte, lo stesso progetto e lavora velocemente. Non c’è alcuna pressione su Israele e nessuno che stia tentando di fermare il piano. Pochi giorni fa, il piano è stato pubblicato e i coloni hanno parlato di una città beduina a Nuweimeh. Dicono che non vogliono dare un premio ai beduini solo perché il segretario di Stato americano, John Kerry, nella sua recente visita in Israele, ha detto che è necessario fermare la colonizzazione. Moshe Ya’alon, il ministro della Difesa israeliano, è nuovo e ha detto che studierà il piano di ricollocamento dei beduini, ma al momento la pressione è minima. Credo che il governo e i coloni lavorino insieme, che siano partner. Quando c’è una sorta di pressione e il governo è bloccato, allora manda avanti i coloni. Quello che non può fare da solo, lo fa fare ai coloni.

Da quanto questa situazione va avanti?

Dal 1967. Dal 1967 al 1978 era gestita solo dall’esercito, che confiscava le terre e le dichiarava zona militare. Un anno e mezzo dopo hanno dato la terra ai coloni. Dopo il 1978 è iniziato il caos. L’ultimo trasferimento forzato di massa è stato nel 1997-98, quando oltre duemila persone furono espulse. Durante questo periodo, le famiglie sono state spostate in dei container, lasciandole vicino ad una discarica. Ad oggi, ci sono ancora persone che vivono lì perché non hanno il denaro necessario ad andarsene.

E la situazione attuale?

Uno dei problemi più grandi è che molti bambini, di otto anni ma anche più giovani, soffrono di malattie perché sono nati vicino alla discarica. Malattie che nemmeno Hadassan, il principale ospedale di Gerusalemme, sa diagnosticare. Un’intera famiglia – madre, padre e tre bambini – è malata e nessuno sa di cosa. Gli ospedali dicono che è la prima volta che vengono a contatto con simili malattie. I bambini sono ancora malati e costretti a restare a casa con i genitori.
Se scendi da Gerusalemme verso la Valle del Giordano, puoi vedere i beduini vivere lungo la strada. Il governo fa pressioni: non possiamo vivere nel deserto sull’altro lato della strada, per cui possiamo fermarci solo vicino. Se ce lo permettessero, se ci dessero l’ok, non vedreste nemmeno un beduino vivere lungo la strada. I beduini non hanno bisogno di vivere vicino alle vie di comunicazione e di trasporto.

Che contatti avete con le autorità israeliane?

Se solo il governo israeliano ci lasciasse in pace. Hanno chiuso l’accesso alla scuola della comunità. E’ questo il loro aiuto? Non ci permettono l’accesso alla sorgente d’acqua e se un beduino si sposta nel deserto, lo arrestano, lo portano in tribunale e poi in prigione, costretto anche a pagare una multa da mille o duemila shekel (200 o 400 euro). Il deserto è il luogo naturale per i beduini, ma il governo non ci permette di raggiungerlo. Ci hanno chiusi dentro una scatola. E se il governo israeliano, come dice, sta aiutando la popolazione indigena, vorrei avere almeno un esempio.

Quale esperienza i beduini rischiano di perdere con questi continui spostamenti?

Un esempio: un mese fa ero nella Valle del Giordano, a Gerico, e tutti si lamentavano del caldo. Quando sono tornato a casa, nessuno della mia famiglia si lamentava del caldo perché siamo beduini, siamo abituati e sappiamo quando uscire e quando no, quando il deserto può essere un pericolo e quando no. A New York, non so esattamente dove mi trovo, ma nel deserto sono a casa. Conosco tutto. Il clima sta cambiando e ora dobbiamo pensare a quali necessità ci troviamo di fronte. Vivo nel deserto, per me è facile avere a che fare con questi cambiamenti, non come se vivessi in una città.
Questo pianeta è una piccola palla. Se qualcuno ne danneggia un lato, ne sentiremo le conseguenze sull’altro, per cui dobbiamo proteggere la terra.

Nella sua prima visita alle Nazioni Unite, cosa spera che la comunità internazionale capirà della situazione del popolo beduino?

Spero che comprenderanno molto. Spero che un raggio di luce illuminerà la nostra situazione, cosa ci sta accadendo e qual è la situazione del clima globale. Sono venuto qui per avvertirli.

 

http://nena-news.globalist.it/Detail_News_Display?ID=77682&typeb=0&I-beduini-all-ONU-per-salvarsi-da-Israele

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