admin | April 28th, 2011 – 12:57 pm
Accordo raggiunto in fretta e su tutti i punti all’ordine del giorno, quello siglato ieri al Cairo tra Fatah e Hamas. Governo di transizione, intesa sulla sicurezza e sui prigionieri politici, e tre elezioni da tenere entro un anno. Per il nuovo presidente dell’ANP, per il consiglio legislativo di Cisgiordania, Gaza e Gerusalemme est, e anche per il parlamento dell’OLP, che rappresenta tutti i palestinesi, rifugiati compresi.
L’accordo – storico – è stato siglato da due protagonisti del lungo ed estenuante processo di riconciliazione palestinese, il numero due del politburo di Hamas, Mussa Abu Marzuq, e uno dei membri del comitato centrale di Fatah, Azzam al Ahmed. Entro una decina di giorni, tutte le fazioni palestinesi saranno invitate sempre al Cairo per firmare l’intesa, e saranno soprattutto al Cairo Khaled Meshaal, il capo del politburo di Hamas, e il presidente dell’ANP Mahmoud Abbas. I due governi di Ramallah e Gaza City si dovrebbero dimettere per far posto a un esecutivo di transizione, fatto di tecnocrati, ma senza la presenza – sembra – di Salam Fayyad.
Hamas e Fatah hanno così chiuso con un’intesa su tutti i punti all’ordine del giorno uno scontro che durava da cinque anni, da quando Hamas aveva vinto le elezioni parlamentari palestinesi del 2006, e che si era poi cristallizzato quando Hamas aveva compiuto il coup a Gaza, nel giugno del 2007, assumendo il totale controllo della Striscia.
A segnare la svolta, anche per i palestinesi, sono state le rivoluzioni in corso nei paesi arabi. Il regime di Hosni Mubarak, patron storico di Fatah, aveva insabbiato il processo di riconciliazione, ed è invece stato il nuovo ministro degli esteri egiziano, Nabil el Arabi, a spingere Hamas e Fatah a mettere la parola fine a cinque anni di divisioni, di violenza, e di sangue. La leadership di Hamas a Damasco, poi, ha mitigato le sue posizioni proprio in contemporanea con la rivolta in corso in Siria contro il regime di Bashar el Assad.
L’immagine che illustra questo post è, non a caso, uno dei loghi della protesta del 15 marzo, in Cisgiordania e a Gaza. As Shab yurid, il popolo chiede, anche in questo caso. Stavolta, però, non chiede tanto la fine dei regimi, di Gaza e Ramallah, ma chiede la fine della divisione tra Cisgiordania e Gaza. E a dimostrazione che le rivoluzioni hanno inciso non c’è solo la frase pronunciata da Moussa Abu Marzouq al Cairo (“le rivoluzioni arabe hanno avuto un ruolo”), ma anche la decisione di inserire, tra le elezioni in programma entro un anno, il rinnovo del Parlamento dell’OLP, il Consiglio nazionale palestinese, dopo la riforma dell’Organizzazione per la Liberazione della Palestina e il conseguente ingresso di Hamas. Il rinnovo del PNC era una delle principali richieste dei ragazzi di Ramallah e di Gaza, perché la questione palestinese, secondo loro, non si limita alla questione dell’ANP, ma rimette in gioco tutto, dal ruolo dei rifugiati a quello dei palestinesi del ’48, così come vengono chiamati i palestinesi col passaporto israeliano.
Se l’accordo del Cairo è stato un accordo a sorpresa, così non è stato per le trattative, che vanno avanti da settimane. Non le vecchie trattative, insabbiate costantemente da Omar Suleiman, come confermano anche i documenti di Wikileaks e dei Palestine Papers. Ma le nuove trattative, che hanno visto un andirivieni tra i Territori Palestinesi e il nuovo Cairo uscito dalla rivoluzione del 25 gennaio. La vera cesura è stata la presenza di Nabil el Arabi alla testa del ministero degli esteri egiziano, e dunque una diversa prospettiva regionale: l’Egitto infatti, per la prima volta, ha coinvolto la Turchia nel dossier della riconciliazione palestinese, dopo aver escluso volutamente e pervicacemente Ankara per anni, nonostante le richieste del governo Erdogan.
Hamas, Fatah, il gruppo di personalità palestinesi indipendenti che si sono recati a più riprese al Cairo hanno segnalato sin dall’inizio che l’atmosfera era cambiata. Non solo in Egitto. Ma anche tra i palestinesi. La pressione dei ‘ragazzi’ palestinesi, che da settimane hanno già indicato il 15 maggio – anniversario della nascita di Israele e della nakba, della catastrofe palestinese – come la giornata. La Data. Come il 25 gennaio per gli egiziani o il 15 marzo per i siriani. E dopo quello che è successo al Cairo e sta succedendo almeno in metà della regione, la leadership palestinese sa bene quanto una protesta della società civile, del popolo possa incidere sulle scelte politiche…
I ‘ragazzi’ palestinesi, dunque, hanno già inciso sulla politica palestinese. Così come ha inciso su Hamas la debolezza di Bashar el Assad e la rivolta nelle città siriane. La stessa sede damascena di Hamas rischia di saltare a seconda di quello che succederà al regime degli Assad, e questo la leadership islamista lo comprende molto bene.
La riconciliazione palestinese, dunque, è filiazione diretta delle rivoluzioni arabe. Ulteriore conferma che tutti i nostri parametri interpretativi stanno saltando. E prima ce ne accorgiamo, meglio sarà.
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