I lanciatori di pietre di Nabi Saleh a teatro

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28 Giu 2013

I 550 residenti di Nabi Saleh hanno subito decenni di perdite. Dal 1977, hanno gradualmente perso le loro terre a favore della colonia israeliana di Halamish (nota anche come Neveh Tzuf). Tale perdita è peggiorata nel 2008, quando i coloni hanno assunto il controllo di alcune sorgenti d’acqua, dalle quali il villaggio palestinese dipendeva.

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Il Freedom Theatre racconta “La Storia di Nabi Saleh” (Foto: Keren Manor/Activestills)

Un nuovo spettacolo teatrale, “La Storia di Nabi Saleh: il nostro simbolo è la Pietra”, è il testamento della determinazione con la quale gli abitanti del villaggio resistono all’occupazione israeliana. Come suggerisce il titolo, uno dei metodi più usati per opporsi alla presenza militare israeliana è il lancio di pietre.

Messa in scena dal Freedom Theatre di Jenin, lo spettacolo incentra l’attenzione sul villaggio dove ogni settimana dal 2009 si tengono manifestazioni pacifiche. La risposta israeliana alle proteste è sempre stata brutale. In due anni, 64 residenti – il 13% della popolazione del villaggio – sono stati arrestati. Tra loro, 29 bambini e adolescenti e quattro donne. Due cugini, Mustafa e Rushdi Tamimi, sono stati uccisi. Almeno 432 persone sono state ferite.

Assurdità comica

Lo spettacolo si basa su racconti di prima mano raccolti nel villaggio dallo scrittore Decca Muldowney e dal regista Dai Travis. Mostra lo sviluppo delle proteste e l’assurdità dura e comica della vita sotto occupazione. In una scena, una coppia di soldati israeliani si chiudono in una casa palestinese. Cercano di affermare il loro potere chiedendo documenti, scattando foto e girando intorno. Con il loro comportamento intrusivo e violento, vengono dipinti come clown patetici, che abusano in maniera insensata del loro potere ricevendo ordini e poi dandoli alla famiglia. Alcuni residenti, guardano lo spettacolo, hanno detto che è proprio così che percepiscono i soldati.

Quando i soldati entrano in casa, un attivista internazionale si nasconde. Fidaa Zidan, membro del cast, dice: “Molti stranieri sostengono la causa palestinese, vengono qui per manifestare il loro sostegno e per attirare l’attenzione internazionale sulla tragedia palestinese. Le autorità israeliane non vogliono che girino informazioni sui loro crimini, per questo arrestano, deportano o impediscono agli attivisti di tornare in Palestina, anche per sette, dieci anni”.

E aggiunge: “Nello spettacolo, la famiglia nasconde l’attivista per proteggerlo. Secondo me, questo è una dimostrazione dell’ospitalità araba e dei valori palestinesi. Siamo cresciuti così. Un ospite è una responsabilità, dobbiamo prenderci cura di lui”.

Unico

Lo spettacolo sottolinea un aspetto poco trattato, il ruolo delle donne palestinesi nelle proteste. Dei sei attori coinvolti, due sono donne. Nonostante siano solo un terzo del cast, sono le donne ad aver più spazio nelle proteste. Zidan interpreta Manal Tamimi, organizzatrice delle manifestazioni (Manal è il nome usato di fronte ai soldati israeliani).

“Le donne in tutta la Cisgiordania partecipano a tutte le forme di protesta, ma la situazione a Nabi Saleh è unica – dice Zidan – A differenza di altri luoghi dove i due sessi sono separati, a Nabi Saleh le manifestazioni sono miste. È un passo in più. Il mio personaggio dice: ‘Resistiamo insieme, donne e uomini’. Lo dico per dare ispirazione alle donne del pubblico a seguire tale esempio”.

Un altro attore, Hassan Taha, dice che “lo spettacolo riflette la realtà della protesta del villaggio, le donne di Nabi Saleh che affrontano i soldati pesantemente armati, i veicoli militari e la puzza dell’acqua putrida. Coraggiosamente affrontano la tirannia dell’occupazione”. “Le abbiamo viste spesso lanciarsi senza difese tra i soldati e i membri delle loro famiglie cercando – e a volte riuscendo – a impedire l’arresto del marito o dei figli. A Nabi Saleh, hai la sensazione che le donne siano uguali agli uomini, non per carità, ma per loro merito”.

Nel primo atto, una famiglia discute quale forma di protesta scegliere. Entrambi i personaggi femminili si oppongono alla resistenza armata, giudicandola controproducente. Spingono per manifestazioni pacifiche settimanali, dopo la preghiera del venerdì.

Simbolico

Ad un certo punto, c’è un tema da affrontare. Il lancio di pietre rende la protesta meno pacifica? L’attivista internazionale rappresentato da Ben Rivers sembra credere che lo sia. Il mondo giudica il lancio di pietre un atto violento.

Ma le donne non concordano. Si rifiutano di marciare come pecore. Quando affrontano le armi automatiche israeliane, la pietra e la fionda dei palestinesi sono dei simboli, dicono. Naturalmente, non è la prima volta che l’importanza del lancio di pietre come mezzo di resistenza viene analizzata. Nella prima Intifada nel 1987, i giovani che partecipavano erano chiamati “i bambini delle pietre”.

Le immagini spesso associate alla resistenza palestinese sono quelle di lanciatori di pietre. A partire dalla foto del piccolo Ramzi Aburedwan, oggi musicista professionista e fondatore della scuola Kamandjati, che lanciava pietre alla fine degli anni Ottanta, fino a Fares Odeh di fronte ad un tank israeliano nel 2000. Fares fu ucciso dai soldati israeliani pochi giorni dopo lo scatto della foto.

Non importa cosa affermano Israele e i suoi sostenitori: una pietra non è una minaccia per uno dei più forti eserciti del mondo. Lanciare una pietra ad un soldato che imbraccia armi letali è un atto di coraggio; racconta la determinazione della resistenza. “La Storia di Nabi Saleh” ce lo ricorda.

Sawsan Khalife’
The Electronic Intifada

 Inviato da aicitaliano il Gio, 27/06/2013 – 11:25

http://www.palestinarossa.it/?q=it/content/aic/i-lanciatori-di-pietre-di-nabi-saleh-teatro

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