5 novembre 2011 di cen11
In preparazione della Giornata ONU per i diritti del popolo palestinese del 29 novembre, pubblichiamo un articolo di Amira Hass, scrittrice e giornalista israeliana che scrive per l’autorevole quotidiano Ha’aretz.
Ora che la Palestina ha ottenuto il riconoscimento dell’UNESCO, l’Agenzia Culturale ONU, questo non cambierà la sua condizione di non-stato né essa cesserà di essere occupata. I suoi cittadini non saranno più liberi di oggi, né meno soggetti al giogo del dominio straniero israeliano. Ma la disubbidienza civile dei Palestinesi nei confronti di Israele, USA e Quartetto fa ben sperare che essi non ritorneranno al tavolo dei negoziati – perché i negoziati stessi sono divenuti un ostacolo al processo di decolonizzazione, condizione essenziale per arrivare alla pace.
La richiesta palestinese di riconoscimento da parte dell’ONU è stata accolta favorevolmente, anche da parte dei critici dell’Autorità Palestinese, perché è stata avvertita come la chiusura, quantunque tardiva, di un capitolo eccessivamente lungo. Si tratta del capitolo in cui la leadership palestinese, in cambio di dubbie garanzie e di qualche concessione di privilegio per un gruppo ristretto, ha partecipato ad una parodia di negoziati, mentre in realtà l’area prevista per la realizzazione del diritto dei Palestinesi all’autodeterminazione continuava a venire ridotta e frammentata.
Questo capitolo ha messo in luce che i partiti nei vari governi di coalizione israeliani non sono d’accordo solo su un unico punto: il numero e la dimensione dei “bantustan” palestinesi nel piano strategico di Israele.
I Palestinesi comuni hanno vissuto la richiesta di riconoscimento alle Nazioni Unite come un gesto che crea nuove regole di gioco. Pertanto molti sostenitori di questa mossa si svegliano la mattina con trepidazione: avrà funzionato la forza travolgente delle tattiche della UE e degli USA? Il Presidente Mahmoud Abbas e i suoi eterni negoziatori saranno ritornati al solito sterile tavolo, quando è invece chiaro che Israele non ha alcuna intenzione di cambiare il suo piano strategico?
Il livello di degradazione a cui è sceso il termine “negoziati di pace” si può dedurre dall’osservazione fatta dall’inviata del Quartetto per l’Unione Europea, Helga Schmid. Il 26 ottobre, in un ultimo tentativo disperato da parte del Quartetto di impedire ai Palestinesi di far domanda di ammissione all’UNESCO, Schmid ha detto – secondo fonti di Ramallah – che la domanda di ammissione equivaleva alla costruzione di una colonia: una provocazione. Non solo i Paesi della UE non puniscono Israele per la costruzione degli insediamenti (che si chiamino Ma’aleh Adumim o Givat Assaf, non cambia il fatto che sono tutti criminosi); ora l’inviato della UE mette sullo stesso piano anni di violenza da parte dei padroni occupanti e la legittima difesa degli occupati.
In effetti, gli stessi Accordi di Oslo hanno creato una simmetria fra occupante/colonizzatore e occupato/colonizzato. Tale simmetria ha negato ai Palestinesi un importante vantaggio nei negoziati per l’indipendenza: il riconoscimento del principio che Israele e la comunità internazionale avevano fatto un torto ai Palestinesi derubandoli della patria e dei diritti.
Ma i Paesi occidentali, primo fra tutti gli USA, non hanno sostenuto neppure questa simmetria. Tutt’al più, si sono limitati a redarguire Israele appoggiandone al contempo la posizione economica e politica, dimostrando così che l’occupazione paga. Ma essi hanno invece punito, e continuano a punire i Palestinesi come se fossero loro gli aggressori.
Il Quartetto, in un riflesso condizionato neo-colonialista, ha minacciato di far cessare i contributi del grande capo all’UNESCO: “Vergogna, indigeni, è colpa vostra”. E’ una minaccia che urta le orecchie, quanto di più lontano dalla musica che arriva da Occupy Wall Street e movimenti similari.
Ma le mosse diplomatiche alle Nazioni Unite, per quanto audaci e stimolanti, non sono sufficienti. Né sono sufficienti gli accenni alla possibilità di smantellare l’Autorità Palestinese per chiarire che i piromani di Gerusalemme e Tel Aviv stanno mettendo a rischio il benessere sia dei Palestinesi sia degli Israeliani, se non di molti altri all’interno e all’esterno della regione mediorientale.
Nulla può sostituire la strategia della resistenza popolare, in cui non ci sono distinti VIP che guardano dalla panchina ( e neanche più razzi Qassam o altri metodi che prendono di mira i civili, metodi che hanno mostrato tutta la loro inutilità pratica e indegnità morale). Ma non tornare al tavolo dei negoziati è un passo essenziale per scompaginare la quotidiana procedura di espropriazione di cui è complice il Quartetto.
Amira Hass, da Haaretz, 2 novembre 2011 – traduzione di Stefania Fusero
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