Articolo pubblicato originariamente su Mondoweiss e tradotto dall’inglese dalla redazione di Bocche Scucite
Il governo Netanyahu ha finora esternato la sua crisi interna attraverso la campagna militare in Cisgiordania, ma i palestinesi di Gaza temono che alla fine possa ricorrere alla guerra per paralizzare il movimento di protesta israeliano.

IL PRIMO MINISTRO ISRAELIANO BENJAMIN NETANYAHU GUIDA UNA RIUNIONE DI GABINETTO SUL BILANCIO STATALE, PRESSO L’UFFICIO DEL PRIMO MINISTRO A GERUSALEMME, IL 12 MARZO 2023. (FOTO DI MARC ISRAEL SELLEM/POOL)
I palestinesi di Gaza seguono da vicino le proteste israeliane in corso contro la revisione giudiziaria proposta dall’attuale governo Netanyahu. Molti a Gaza credono che se la crisi di Netanyahu continuerà ad aggravarsi, egli farà ciò che i governi israeliani hanno sempre fatto per sfuggire a una crisi interna: lanciare una guerra contro “il nemico”. L’obiettivo più conveniente è sempre stato Gaza.
Come ha fatto molte volte in passato, Israele potrebbe benissimo usare Gaza per costringere i manifestanti israeliani a lasciare le strade. Queste previsioni sono state aggravate dal fatto che Hamas ha dichiarato pubblicamente che sta anticipando una guerra durante il mese sacro del Ramadan, a meno di una settimana di distanza.
Gli analisti hanno commentato che se le fazioni palestinesi di Gaza dovessero rispondere a una provocazione israeliana nel prossimo mese, offrirebbero al governo Netanyahu il pretesto necessario per mettere i bastoni tra le ruote al nascente movimento di protesta israeliano. Potrebbe anche permettere a Netanyahu di causare abbastanza disorientamento nel movimento da permettergli di attuare la sua revisione legislativa.
Questa politica israeliana di esternalizzazione delle crisi si è spesso dimostrata efficace, consentendo di sfuggire al controllo interno che viene fatto su un governo o sull’altro e concedendo al contempo l’opportunità di stringere ulteriormente le viti sulle fazioni della resistenza nella Striscia di Gaza.
Questo è esattamente ciò che Netanyahu ha fatto con la guerra del 2021 contro Gaza. All’epoca, le accuse di corruzione e il calo di popolarità stavano spianando la strada a Netanyahu per essere spodestato dall’opposizione guidata da Yair Lapid, e molti analisti all’epoca notarono l’utilizzo della guerra del 2021 da parte di Netanyahu per raccogliere il sostegno dell’opinione pubblica.
Ma questa volta le cose sono diverse. Negli anni precedenti, Israele ha contato sulla possibilità di colpire una Gaza in gran parte indifesa e atomizzata. In altre parole, la politica si è basata sulla separazione geografica e sulla frammentazione dei palestinesi.
Ciò che Israele non vuole è trovarsi invischiato in un confronto con i palestinesi su più fronti – Gaza, Cisgiordania, Gerusalemme e persino le comunità palestinesi all’interno dello Stato israeliano che godono di una cittadinanza nominale.
Naturalmente, Israele ha sempre preferito dividere e conquistare.
“Netanyahu in questo momento sta cercando di sfuggire alla sua crisi attraverso l’escalation in Cisgiordania”, ha dichiarato a Mondoweiss Mkhaimer Abusada, professore associato di scienze politiche all’Università Al-Azhar di Gaza. “Sa che il costo dell’escalation in Cisgiordania rimane basso, molto meno del costo di una guerra con Gaza”.
La crisi di Israele
Israele come Stato si basa su due pilastri, la legittimità e la sicurezza, afferma l’analista palestinese Hussam Dajani. La legittimità dell’attuale governo è stata messa in discussione per la prima volta sulla scia della revisione giudiziaria che ha portato al movimento di protesta israeliano. Queste proteste sono servite a minare la sicurezza di Israele.
“Con l’aumento delle proteste, il futuro del governo israeliano viene messo in discussione”, ha dichiarato Dajani a Mondoweiss. “Ora rischia di crollare”.
Questa opinione è stata ripresa dagli analisti israeliani, che temono che le proteste possano trasformarsi in una guerra civile in Israele.
Il piano di Netanyahu mira a togliere potere al sistema giudiziario israeliano, lo stesso sistema di cui gli israeliani liberali vanno fieri e che rivendicano come prova del fatto di vivere nell'”unica democrazia del Medio Oriente”. I manifestanti considerano l’intervento dell’autorità esecutiva del governo nel sistema giudiziario una violazione della cosiddetta democrazia. Questo ha portato gli analisti israeliani a pensare che il crollo della “democrazia israeliana” sarà un preludio al crollo di Israele stesso. Persino l’ex ministro della Difesa israeliano Avigdor Lieberman, secondo Dajani, ha affermato in precedenti dichiarazioni che Netanyahu sta portando Israele alla propria distruzione.
Questo si può già intuire dalla deriva interna del governo israeliano verso il fascismo, che si riflette nel suo comportamento sul campo. “Il terrore e il fascismo senza precedenti praticati dal governo israeliano hanno un impatto negativo su di esso e sulla sua posizione agli occhi della comunità internazionale”, spiega Dajani.
Dajani afferma inoltre che questo non è un punto di vista insolito tra l’establishment liberale israeliano, facendo riferimento alla dichiarazione dell’ex Primo Ministro israeliano Ehud Barak, che ha espresso il timore di un collasso di Israele prima del suo ottantesimo anniversario.
La cosiddetta “maledizione dell’ottavo decennio” ha guadagnato particolare spazio tra gli analisti arabi, e Dajani non fa eccezione. Ma vale anche la pena di notare che rende evidente la minaccia esistenziale che molti israeliani, compresi quelli dell’élite al potere, vedono nel momento attuale.
Il prezzo della guerra con Gaza
Sebbene il professor Abusada ritenga che l’apparato militare e di sicurezza israeliano preferirebbe mantenere Gaza isolata dall’attuale situazione in Cisgiordania, egli ritiene anche che la recente ondata di assassinii israeliani di combattenti della resistenza e di esecuzioni extragiudiziali in Cisgiordania potrebbe portare anche Gaza ad affrontare un’escalation.
“Le invasioni israeliane e le uccisioni di combattenti in Cisgiordania potrebbero avere un impatto negativo su Gaza”, ha affermato Abusada.
Questo nonostante il fatto che né Hamas né Israele vogliano una guerra totale a questo punto. Ma gli eventi in corso potrebbero non lasciare loro altra scelta.
Abusada osserva che i prossimi mesi includono nel loro calendario le festività ebraiche e la “marcia delle bandiere” dei coloni. Inoltre, il mese di Ramadan, negli anni precedenti, ha coinciso con periodi di sommosse popolari e proteste di massa a Gerusalemme e in Cisgiordania. Tutto ciò indica la probabilità di un’escalation a Gaza.
Abusada qualifica la sua previsione sottolineando che Israele preferirebbe mantenere la battaglia isolata in Cisgiordania. “Netanyahu ha recentemente tentato di sfuggire alla sua crisi interna attraverso l’escalation a Nablus e Jenin. Sa che le tensioni in Cisgiordania alla fine gli costeranno meno di una guerra a Gaza”, ha affermato.
“La reazione della Cisgiordania alle invasioni israeliane a Nablus e Jenin sarà piccola e modesta”, continua. “Un palestinese effettuerà un’operazione di tiro. Qualcuno potrebbe aprire il fuoco contro un gruppo di coloni. Ma quando si tratterà di un’escalation con Gaza, oltre 5 milioni di israeliani saranno a portata dei razzi delle fazioni della resistenza di Gaza”.
Ma forse è proprio questa presunta minaccia che Israele ha bisogno di evocare – per allontanare gli israeliani dalle strade.
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