13 AGO 2012
Il capo di Stato maggiore dell’esercito israeliano, Gabi Ashkenazi, e il ministro della Difesa, Ehud Barak
«No, Bibi, questo non si può fare. Non ora». Ci sono voluti i tre vertici della sicurezza israeliana per bloccare il premier, e il ministro della Difesa Ehud Barak, dai suoi propositi. Da giorni Benjamin Netanyahu premeva per un attacco militare contro l’Iran. Da giorni, l’allora capo del Mossad Meir Dagan, il numero uno dello Shin Bet (sicurezza interna) Yuval Diskin e il capo di Stato maggiore dell’esercito Gabi Ashkenazi consigliavano al primo ministro israeliano di fermarsi.
La storia non si sa bene quando sia successa. È stata raccontata domenica 12 agosto dalla tv israeliana Canale 10. L’unica cosa certa è che è sicuramente avvenuta prima di novembre 2010, mese in cui Dagan ha mollato il vertice del Mossad. «Il contesto della discussione era decisamente informale, con molte persone che fumavano», racconta chi c’era all’emittente. «Forse c’era troppa formalità, visto che si stava decidendo la storia di un Paese e, forse, del mondo».
L’incontro, quindi. Da un lato Netanyahu (e Barak) che chiede quando e come attaccare. Dall’altro i tre vertici della sicurezza che bocciano con forza l’idea di un attacco a Teheran senza l’appoggio di nessuno, Usa compresi. Il più deciso della serata sarebbe stato Gabi Ashkenazi. Sarebbe stato soprattutto lui a spostare alcuni voti del consiglio dei ministri ristretto, quello che deve prendere decisioni serie.
Le parole di Ashkenazi avrebbero – secondo la ricostruzione di Canale 10 – fatto cambiare idea a un «falco» come il ministro dell’Interno, Eli Yishai, del partito ultrareligioso Shas. Che si sarebbe aggiunto al fronte del «no» all’attacco composto sin dalle prime ore dai ministri Moshe Ya’alon, Benny Begin e Dan Meridor e che ha di fatto messo in minoranza l’asse interventista.
Un spostamento degli equilibri che avrebbe spinto il ministro della Difesa, Ehud Barak, a rinfacciare ad Ashkenazi: «Se fossi stato tu il capo di Stato maggiore nel 1967 non avremmo fatto e vinto la guerra dei Sei giorni, un vero e proprio attacco preventivo d’Israele che ci ha garantito il successo in così poco tempo».
Due anni dopo quella vicenda, lo stallo – all’interno del governo Netanyahu – resta. Anche se, assicurano le «gole profonde» dell’ultima ora, «Bibi e Barak decideranno entro qualche giorno cosa fare del dossier Iran».
Per ora, a sentire gli umori nello Stato ebraico, ogni calar del sole sembra rendere sempre più concreta la possibilità di un attacco mirato. Lo dimostrerebbero anche le frequenti telefonate sull’asse Gerusalemme – Washington. Con l’amministrazione Obama che cerca, a tutti i costi, di frenare la voglia d’Israele di risolvere una volta per tutte la minaccia nucleare di Teheran il prima possibile.
© Leonard Berberi
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