2 Maggio 2013
Nel villaggio di Battir, in Cisgiordania, il Muro di Separazione israeliano minaccia di dividere i contadini dalle proprie terre e di distruggere i centenari terrazzamenti agricoli. Nella loro battaglia legale alla Corte Suprema israeliana per evitare tale distruzione, i residenti hanno al loro fianco gli ambientalisti. Un iniziativa originale perché ha costretto un’autorità israeliana a criticare il Muro. Ieri, primo maggio, il processo è ripreso.
Nella battaglia per salvare il “paradiso” di Battir, le preoccupazioni dei residenti vengono ignorate? (Foto: Tobias Pitsch)
Il villaggio di Battir si estende su una collina della Cisgiordania, a Sud di Gerusalemme. Le case si affacciano su una vallata fertile irrigata da numerose sorgenti d’acqua scolpite sulla roccia. Una serie di terrazzamenti agricoli occupa la collina e scende a valle, verso l’antica linea ferroviaria che collega Gerusalemme alla costa. I pochi treni che ogni giorno passano per Battir, oggi non si fermano più alla stazione del villaggio.
Il pittoresco villaggio di Battir è una contestata frontiera politica. La Linea Verde, tracciata nel 1949 apparentemente lungo il confine di un possibile Stato di Palestina, corre attraverso le terre del villaggio. La divisione è invisibile: i residenti continuano a coltivare le loro terre sul lato israeliano grazie ad un accordo stretto nel 1949 con l’israeliano Moshe Dayan, in cambio dell’impegno a garantire la sicurezza per il passaggio dei treni israeliani. Ma l’idillio è destinato a finire a causa del Muro israeliano che dividerà Battir dalle sue terre agricole. I residenti e gli ambientalisti hanno subito sollevato la questione.
La stampa internazionale critica il danneggiamento del “paradiso”
Da quando è iniziata la pianificazione del percorso del Muro nel 2004, la questione di Battir ha subito attirato l’attenzione. Sia le autorità palestinesi che quelle israeliane hanno discusso della questione, mentre l’UNESCO si è impegnata nella protezione dell’eredità del villaggio e i media internazionali hanno seguito il caso. Il prestigioso quotidiano inglese The Guardian ha scritto a giugno del 2012 che il Muro di Separazione “minaccia le antiche terrazze di Battir”. Il New York Times e altri giornali hanno raccontato la stessa storia. Un noto quotidiano tedesco ha celebrato “la resistenza attraverso la preservazione culturale” di Battir. Eppure questi articoli che descrivono bene la minaccia all’ambiente e al panorama, non tengono conto dell’impatto del Muro sui residenti di Battir.
La lotta contro il Muro a Battir è lo specchio della stessa battaglia in Cisgiordania e a Gerusalemme (Foto: Tobias Pitsch)
L’ambiente, la cultura, lo stile di vita, le libertà – la lotta di Battir è tutta in questo mix. In vari modi, il caso mostra sa la creatività che la frammentazione della battaglia contro il Muro di Separazione. La resistenza, dopo tutto, è una battaglia contro l’occupazione, ma anche una lotta in sé e la definizione della questione è costantemente negoziata.
Un’autorità israeliana si oppone al muro di Battir
Riguardo Battir, gli oppositori del Muro formano un mix originale. Anche un’autorità statale israeliana recentemente si è pronunciata contro il percorso pianificato della barriera attraverso il villaggio. La loro preoccupazione – salvaguardare l’ambiente – è diversa da quella dei residenti che vogliono invece proteggere uno stile di vita dignitoso.
A partire dal 2004, il villaggio di Battir ha ricevuto numerosi ordini militari per la confisca di terre e la costruzione del Muro di Separazione. Gli abitanti hanno fatto appello alle corti israeliane, affermando che la barriera avrebbe diviso le terre e distrutto l’antico sistema di irrigazione. Nel 2012, i residenti di Battir sono entrati a far parte dell’organizzazione ambientalista FoEME (Friends of Earth Middle East), con l’obiettivo di modificare il percorso del Muro intorno al villaggio. L’appello di FoEME ha dato forza alla petizione dei residenti sottolineando che la protezione dell’ambiente a Battir era anche nell’interesse di Israele. Con una mossa audace, l’organizzazione ha citato l’Autorità Israeliana per la Natura e i Parchi perché intervenisse sulla questione. Sorprendendo tutti, l’autorità ha criticato il Muro. Considerando che la sicurezza di Israele è garantita da quando il Muro è stato pianificato, l’autorità ha affermato, l’interesse pubblico “della protezione di questa particolare e speciale area” ora chiede che vengano previste alternative alla barriera. Ciò è accaduto a dicembre 2012.
Il Ministero della Difesa israeliano: costruire una rete e non un muro
Il Ministero della Difesa israeliano ha risposto al suggerimento di modificare il Muro costruendo una rete. I residenti e gli ambientalisti si sono opposti alla proposta. Una rete renderebbe comunque l’accesso alle terre agricole difficile e dipendente dalla benevolenza dei soldati, dicono gli abitanti; la rete distruggerebbe comunque i terrazzamenti, aggiungono gli ambientalisti.
Il primo maggio, le udienze della corte sono entrate nella seconda fase. Gidon Bromberg, capo del FoEME israeliano è ottimista: “Sentiamo di essere in una posizione migliore ore: alla fine abbiamo costretto il governo israeliano a parlare del Muro”.
La sua organizzazione, tuttavia, non è considerata bene da molti in Palestina: fondata negli anni del processo di pace di Oslo, FoEME è stata vista come un’iniziativa di frontiera, con team in Israele, Giordania e nei Territori Occupati. L’obiettivo era promuovere un migliore uso sostenibile delle risorse della regione, in particolare dell’acqua. Ora l’organizzazione è accusata di “normalizzazione”, un termine dispregiativo per indicare le iniziative che collegano le questioni palestinesi con Israele senza combattere esplicitamente l’occupazione militare. Per i residenti di Battir, il termine è ancora più critico: la gente dibatte con fervore su come agire insieme agli ambientalisti.
Nessuna parità di condizioni nelle colline della Cisgiordania
“Non dobbiamo dimenticare che qui i giocatori non sono eguali”, dice Hassan Muamer, che gestisce l’EcoMuseo di Battir, un’iniziativa per la conservazione dell’ambiente e la cultura di Battir e l’utilizzo tradizionale e sostenibile delle risorse. Con il sostegno dell’UNESCO, il suo team ha mappato l’area e rinnovato i sentieri a piedi per i locali e i turisti. “Quando FoEME ha suggerito di portare qui degli israeliani per un giorno di camminata per attirare l’attenzione sul caso, non siamo stati d’accordo: come potremmo quando ai palestinesi è vietato camminare nell’altro lato della valle?”.
Ciò nonostante, si è deciso di agire insieme agli ambientalisti israeliani. Una scelta di coscienza che in molti modi rientra nella lotta del villaggio che non è mai rifuggito ai compromessi necessari a salvare Battir. “Non ci sono state proteste qua dalla prima Intifada – sottolinea Muamer – Abbiamo optato per l’agricoltura come resistenza”.
Per i residenti di Battir, l’agricoltura è la principale forma di resistenza all’occupazione israeliana (Foto: Tobias Pitsch)
Alla fine il progetto intende rinvigorire il settore agricolo nelle terrazze di Battir. Coltivando le famose melanzane di Battir, per esempio. Ogni lavoro, tuttavia, va fatto con cura: “Possiamo ristrutturare l’esistente, ma non costruire nuovi edifici. Perché tirarci contro una demolizione”. Circa il 75% delle terre di Battir sono in Area C e sono soggette al totale controllo israeliano. Il resto è in Area B e le questioni civili sono gestite dall’Autorità Palestinese. Costruire una struttura permanente in Area C richiede l’autorizzazione dell’amministrazione militare israeliana. La mancanza di tale permesso fa sì che l’edificio non sia riconosciuto e quindi possa essere demolito dai bulldozer israeliani.
Se non puoi rinchiuderli, osservali
Seppure non ci sia ancora il muro o una rete a divider in due Battir, nella collina accanto sono state poste telecamere che – secondo i soldati che perlustrano l’area – sono attive 24 ore su 24, 7 giorni su 7, e sorvegliano tutta la zona, compresa la città vecchia di Battir. “Appena i residenti attraversano il confine invisibile, la pattuglia arriva a controllare”, conclude Muamer. Se le preoccupazioni ambientali convincono le corti israeliane a opporsi al Muro o alla rete, l’alternativa sarebbe una maggiore sorveglianza. Questo è lo scenario migliore. Delle libertà personali non si parla.
Lea Frehse
Alternative Information Center
INVIATO DA AICITALIANO IL GIO, 05/02/2013 – 12:53
http://www.palestinarossa.it/?q=it/content/aic/il-muro-minaccia-battir-il-verde-conteso
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